Da ultimo e fra le tante, Cass., Sez. VI, 13.10.2020, n. 33660. «L’intrinseca connotazione processuale» della messa alla prova e la conseguente operatività del principio tempus regit actum hanno trovato conferma anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale: V. Corte cost. 26.11.2015, n. 240; Id., ord. 8.9.2016, n. 207. Diverso è il tenore della giurisprudenza costituzionale nel caso in cui la tardiva presentazione dell’istanza di messa alla prova consegua alla sopravvenienza della contestazione suppletiva di una circostanza aggravante o alla modifica dell’originaria imputazione: v. Corte cost. 5.7.2018, n. 141, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 c.p.p., per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., «nella parte in cui, in seguito alla nuova contestazione di una circostanza aggravante, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova»; Corte cost. 11.2.2020, n. 14, che ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 516 del codice di procedura penale, nella parte in cui, in seguito alla modifica dell’originaria imputazione, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova».