La storia del lavoro è sin dalle sue origini intrecciata con la storia della sua liberazione dalla fatica. Il modello tayloristico dell’operaio come “gorilla ammaestrato” ha ceduto il posto, a seguito di un lento processo evolutivo, a un’organizzazione produttiva nella quale, oltre alla salute, viene assicurato anche il “benessere” psico-fisico del lavoratore. In base al d.lgs. n. 81/2008, tra gli obblighi non delegabili del datore di lavoro, rientra la previsione del rischio stress lavoro-correlato. Dilatare la posizione di garanzia fino a farvi rientrare forme di “malessere” che non assurgono al rango di malattia, arrestandosi al livello di un più generico disagio, può alterare la proporzione tra offesa al bene giuridico e mezzi di difesa, con conseguente violazione di alcuni fondamentali principi di ordine costituzionale. A ciò va aggiunto il costo di una intrinseca inefficacia della formulazione punitiva applicata. In una prospettiva necessariamente de iure condendo si può quindi pensare di valorizzare la “novità” del sistema introdotta dal d.lgs. n. 231/2001. Dotata di un più penetrante effetto dissuasivo, la previsione di una responsabilità diretta della societas – secondo quanto già sperimentato nei paesi di common law – potrebbe favorire la realizzazione dei necessari adeguamenti organizzativi, volti a garantire un livello quantomeno standardizzato di benessere, salute e sicurezza sul posto di lavoro.
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