Il tema del suicidio richiede un confronto con questioni esistenziali fondamentali e il principale rischio di chi affronta un argomento così vertiginoso è quello di non riconoscerne la complessità. La perenne tentazione del giurista è di “chiudere le porte” a una riflessione problematica e sofferta ricorrendo ad equiparazioni che producono effetti semplificatori e occultano la molteplicità delle questioni in gioco.
Questo scritto, all’opposto, si pone l’obiettivo di svelare l’inadeguatezza di alcune assimilazioni: la “liceità del suicidio” – principio fondamentale del biodiritto penale – non comporta automaticamente la “liceità dell’aiuto al suicidio”. E il concetto stesso di “aiuto al suicidio” dev’essere analizzato nelle sue numerose sfaccettature: l’agevolazione al suicidio “tradizionale” – provocato da forte sofferenza psicologica ed esistenziale – non può essere equiparata al fenomeno differente e dilemmatico dell’aiuto medico a morire.
Il compito di delineare tali distinzioni con nettezza è necessario e urgente, anche alla luce delle recenti e celebri sentenze della Corte costituzionale italiana e di quella tedesca, che per motivi diversi rischiano di generare equivoci e fraintendimenti. L’aiuto al suicidio e il suicidio medicalmente assistito non sono gemelli congiunti e neppure fratelli: sono soltanto parenti che si ribellano a una convivenza forzata. Nell’ambito di queste coordinate il presente volume fornisce un contributo di fondamentale importanza anche nella prospettiva di un dibattito pubblico ponderato sulle questioni di fine vita.
Il volume è consultabile in open access anche sul sito dell’editore.