Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
6. La messa alla prova dell’imputato adulto
di Giuseppina Panebianco
6.1. La messa alla prova dell’imputato adulto è stata introdotta dalla l. 28.4.2014, n. 67, che ne ha distribuito la relativa disciplina tra il codice penale (artt. 168-bis – 168-quater), dove trova collocazione tra le cause estintive del reato, ed il codice di rito, che ne accoglie i profili dinamici in un titolo dedicato, il V-bis, collocato in chiusura del libro VI, intitolato ai procedimenti speciali (artt. 464-bis – 464-novies c.p.p.). La regolamentazione dell’istituto trova poi completamento nell’art. 657-bis c.p.p., nel capo X-bis del titolo I delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (d.lgs. n. 271 del 1989) e nel testo unico del casellario giudiziale (art 3 (L), comma 1, lett. i-bis d.P.R. 14.11.2002, n. 313). Di recente l’istituto è stato sottoposto ad una operazione di restyling dal d.lgs. n. 150 del 2022 (intervenuto in attuazione della legge delega n. 134 del 2021), che ne ha ridisegnato l’ambito operativo, innovando altresì il profilo dinamico della disciplina@.
Come nel procedimento minorile, la messa alla prova dell’adulto precede la pronuncia nel merito, dando luogo ad una alternativa processuale, sia pure dall’effetto sostanziale, consistente nell’estinzione del reato in caso di esito positivo della prova. Nonostante le molteplici analogie con l’omologo istituto minorile, il probation di ultima introduzione se ne discosta per alcuni significativi profili, che ne rivelano lo scopo deflattivo, estraneo alla messa alla prova minorile@. Tra i connotati peculiari che rimarcano la funzione deflattiva della messa alla prova dell’adulto merita di essere segnalata la possibilità di attivare l’istituto già nella fase delle indagini preliminari, laddove nel sistema minorile la sospensione è possibile solo a partire dall’udienza preliminare. Non si è mancato tuttavia di ravvisare nel probation degli adulti una certa valenza rieducativa collegata ai tratti tipici della giustizia riparativa e conciliativa@, già riscontrabili nella disciplina minorile ben prima che la Restorative Justice trovasse esplicita menzione nell’art. 28, comma 2, del d.P.R. n. 448 del 1988@.
6.2. La dislocazione della disciplina della messa alla prova per gli adulti tra il codice penale e quello di rito ha posto agli interpreti la questione dell’identificazione della natura giuridica dell’istituto, con gli inevitabili riflessi sulla regolamentazione di profili tutt’altro che trascurabili, primo fra tutti l’individuazione del regime intertemporale, al quale il legislatore del 2014 non aveva ritenuto di dedicare attenzione. La valorizzazione della collocazione della messa alla prova tra le cause estintive del reato aveva indotto parte della dottrina e la prima giurisprudenza di merito a ravvisare la retroattività favorevole della disciplina del probation e dunque la possibilità di richiedere la sospensione del processo per la messa alla prova anche in relazione ai procedimenti già in corso al momento dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni e indipendentemente dai termini indicati nell’art. 464-bis, comma 2, c.p.p. come limite per la proposizione della domanda@. Successivamente, la giurisprudenza di legittimità, dando prevalenza ai profili dinamici dell’istituto, ha sostenuto l’operatività del principio tempus regit actum e la conseguente inderogabilità dei suddetti termini@. Le incertezze interpretative e le oscillazioni giurisprudenziali determinate dalla mancata previsione di un regime transitorio al momento dell’introduzione del probation per gli adulti hanno consigliato il legislatore del 2022 di provvedere alla disciplina intertemporale degli effetti potenzialmente favorevoli della novella (art. 90, d.lgs. n. 150 del 2022), sul presupposto della prevalente natura sostanziale dell’istituto@.
6.2. A differenza dell’omologo istituto minorile, la messa alla prova dell’adulto incontra limiti di operatività che il legislatore ha tracciato nell’art. 168-bis c.p.: il probation è infatti ammesso nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati nell’art. 550, comma 2, c.p.p. Secondo l’indirizzo maggioritario della giurisprudenza, confermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, «il richiamo contenuto nell’art. 168-bis c.p., alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato»@.
Come anticipato, la sfera di operatività della messa alla prova per gli adulti risulta altresì definita attraverso il richiamo ai delitti indicati nell’art. 550, comma 2, c.p.p., che elenca i reati per i quali si procede comunque con citazione diretta a giudizio@. Sennonché, le incertezze che investono già la disposizione dell’art. 550, comma 2, c.p.p. si riflettono sull’individuazione dell’ambito di operatività della messa alla prova; il riferimento è in particolare alla possibilità di esercitare l’azione penale con la citazione diretta a giudizio quando si procede per i reati di furto in abitazione e furto con strappo. Originariamente tali ipotesi di furto erano qualificate come circostanze aggravanti nell’art. 625 c.p., per intero richiamato dalla disposizione processuale; successivamente, la l. 26.3.2001, n. 128 le ha configurate come autonome fattispecie di reato nell’art. 624 bis c.p., sicché sembrerebbero escluse dai casi di citazione diretta a giudizio e di conseguenza dalla sfera operativa del probation. Invero, i giudici di legittimità hanno ritenuto che il difetto di coordinamento, quanto all’art. 624-bis c.p., tra l’art. 168-bis c.p. e la preesistente disposizione processuale di cui all’art. 550, comma 2, c.p.p. deve essere colmato «attraverso un’interpretazione che tenga conto delle diverse epoche in cui le regole in gioco sono state emanate e del criterio sistematico, nonché del principio del favor rei, cui è evidentemente ispirato l’istituto»@.
6.4. L’operatività della sospensione del processo con messa alla prova è altresì condizionata da due preclusioni di tipo soggettivo: secondo quanto previsto dall’art. 168, comma 4, c.p., la messa alla prova non può essere concessa a chi ne ha già usufruito; il comma successivo, poi, impedisce di dar luogo all’istituto nel caso di delinquente o contravventore abituale o professionale o delinquente per tendenza.
La prima delle preclusioni citate è stata di recente temperata dalla Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 168-bis, comma 4, c.p., nella parte in cui non prevede che l’imputato possa essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova nelle ipotesi in cui si proceda per reati connessi ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b) c.p.p. (vale a dire in concorso formale o avvinti dal vincolo della continuazione) con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso@.
L’art. 168-bis, comma 4, c.p., se per un verso sembra ostacolare l’accesso all’istituto anche nel caso in cui la precedente prova si sia conclusa positivamente, determinando l’estinzione del reato@, per altro verso non sembra impedire l’ammissione alla prova del soggetto che ha già beneficiato dell’istituto nel rito minorile, in considerazione delle diverse caratteristiche e funzioni che connotano la messa alla prova nei due distinti sistemi@. La tassatività delle condizioni impeditive lascia presupporre la possibilità di concedere la messa alla prova anche ai soggetti già gravati da precedente condanna, non essendo il recidivo menzionato tra le figure escluse dall’operatività dell’istituto@. Peraltro non può trascurarsi l’ulteriore presupposto applicativo deducibile dalla disciplina processuale della messa alla prova, che subordina la disposizione della sospensione del processo, al pari della sospensione condizionale della pena, al giudizio prognostico di non recidiva.
Infine, l’istanza non può essere riproposta dall’imputato che ha fallito la prova o per il quale l’ordinanza di sospensione del procedimento è stata revocata (art. 464-novies c.p.p.).
6.5. Nella disciplina introdotta nel 2014 l’attivazione del probation era rimessa in via esclusiva all’iniziativa dell’indagato/imputato. Il legislatore del 2022, al fine di potenziare l’istituto e favorire la deflazione giudiziaria, ha previsto che il pubblico ministero possa promuovere la sospensione del procedimento con messa alla prova, secondo uno schema procedurale volutamente snello (v. 464-ter.1 c.p.p.). Tuttavia si tratta di un ruolo meramente propulsivo, poiché la proposta di sospensione formulata dal pubblico ministero abbisogna del consenso della persona interessata per trovare sviluppo (artt. 464-bis, comma 1 e 464-ter.1, c.p.p.)@. Peraltro la mancata adesione alla proposta non preclude all’indagato di formulare una propria richiesta di sospensione nelle successive scansioni del procedimento@.
Laddove la richiesta formulata nel corso delle indagini costituisca iniziativa autonoma dell’indagato, è necessario il consenso del pubblico ministero, che deve essere espresso nel termine di cinque giorni dalla ricezione della richiesta di messa alla prova trasmessa dal giudice (art. 464-ter c.p.p.). Nondimeno, il dissenso del pubblico ministero, anch’esso da esprimersi entro cinque giorni, non impedisce all’imputato di rinnovare la richiesta prima dell’apertura del dibattimento di primo grado (art. 464-ter, comma 4).
Dopo la chiusura delle indagini preliminari, la richiesta dell’imputato deve essere presentata entro i termini indicati dall’art. 464-bis, comma 2, c.p.p. Se il pubblico ministero formula la proposta in udienza, l’imputato può chiedere un termine non superiore a venti giorni per presentare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 464-bis, comma 1, c.p.p).
6.6. I contenuti della prova sono individuati nell’art. 168-bis, comma 2 e 3 c.p., tuttavia la loro complessiva consistenza risulta dalla lettura congiunta delle corrispondenti disposizioni processuali. In particolare si richiede all’ammesso alla prova la prestazione di condotte ripristinatrici e il ristoro del danno cagionato: peraltro non è necessario che le condotte prescritte giungano ad effetto, poiché il legislatore impone soltanto che il sottoposto alla prova si adoperi in attività «volte» all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato; mentre il risarcimento del danno è richiesto in quanto risulti possibile.
Tra i contenuti obbligatori della prova è prevista altresì la prestazione di lavoro di pubblica utilità. Ai sensi dell’art. 168-bis, comma 3, c.p., il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato; può trattarsi anche di organizzazioni di carattere internazionale, purché operino in Italia. Le modalità della prestazione devono essere tali da non pregiudicare le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute.
L’individuazione della durata del periodo lavorativo è rimessa al giudice, il quale è vincolato da due limiti imposti dal legislatore: il primo riguarda il periodo minimo dell’attività lavorativa, che non può essere inferiore a dieci giorni, non necessariamente continuativi, mentre il secondo concerne l’impegno massimo giornaliero esigibile dall’imputato, quantificato in otto ore. Nulla è previsto invece con riguardo alla durata massima del periodo lavorativo; al riguardo deve ritenersi che essa coincida con il termine massimo della sospensione del processo, vale a dire un anno o due anni, a seconda dei reati per cui si procede@. Come suggerito dalla dottrina e dalla giurisprudenza, in assenza di parametri che coadiuvino il giudice nella quantificazione del periodo lavorativo, soccorrono gli indici di cui all’art. 133 c.p.@.
6.7. Gli obblighi connessi alle condotte ripristinatrici e riparatorie nonché le disposizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità costituiscono parte integrante del programma di trattamento la cui predisposizione è affidata all’ufficio di esecuzione penale esterna che provvede sulla base degli input (o quantomeno dell’iniziativa) provenienti dallo stesso imputato (art. 464-bis, comma 4, c.p.p. e 141-ter, comma 2, disp. att. c.p.p.) o dal pubblico ministero (artt. 464-ter1 e 141-ter, comma 1-bis, disp. att. c.p.p.), dopo avere svolto un’apposita indagine socio-familiare (v. art. 141-ter, comma 3, disp. att. c.p.p.). Un ulteriore contenuto ineludibile del progetto riguarda le prescrizioni in materia di mediazione con la persona offesa e lo svolgimento di programmi di giustizia riparativa (v. art. 464-bis, comma 4, lett. c, c.p.p.)@.
Il programma di trattamento può altresì includere gli ulteriori contenuti suggeriti dal legislatore nell’art. 168-bis, comma 2, c.p. e precisamente: la prestazione di attività di volontariato di rilievo sociale, l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria nonché l’imposizione di obblighi concernenti la dimora, la libertà di movimento o il divieto di frequentare determinati locali. Per lo svolgimento del programma l’imputato è affidato al servizio sociale (art. 168-bis, comma 2, c.p.), le cui funzioni sono svolte dall’ufficio locale di esecuzione penale esterna (v. art. 141-ter comma 1, disp. att. c.p.p.).
6.8. La sospensione del procedimento con messa alla prova è subordinata alla valutazione positiva dell’idoneità del programma di trattamento presentato e alla prognosi favorevole sul futuro comportamento dell’imputato, entrambi stimati sulla base dei parametri elencati nell’art. 133 c.p. Il periodo di sospensione, determinato dal giudice, non può essere superiore: a) a due anni, quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria; b) a un anno, quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria (v. art. 464-quater, comma 5, c.p.p.)@.
6.9. La sospensione del processo per la messa alla prova determina la sospensione del corso della prescrizione del reato; in proposito l’art. 168-ter c.p. precisa che non si applicano le disposizioni dell’art. 161, comma 1, c.p., peraltro sostituito dall’art. 1, comma 13, l. n. 103 del 2017 successivamente all’introduzione del probation degli adulti: in proposito deve ritenersi che, anche in vigenza della nuova formulazione dell’art. 161 c.p., la sospensione della prescrizione ex art. 168-ter c.p. riguardi solo l’imputato ammesso alla prova.
6.10. L’esito positivo della prova, stimato in ragione del comportamento complessivo dell’imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite (art. 464-septies c.p.p.), comporta la dichiarazione di estinzione del reato con sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere (a seconda della fase processuale in cui è intervenuta la sospensione) che, però, non pregiudica l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie eventualmente previste dalla legge@. Di contro, nel caso in cui al termine del periodo di prova dovesse esserne ritenuto l’esisto infausto, il giudice dispone con ordinanza la ripresa del corso del procedimento (art. 464-septies, comma 2, c.p.p.), che non necessariamente conduce alla condanna dell’imputato. Nondimeno, in caso di condanna, in sede esecutiva il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente a quello della prova svolta, secondo il criterio di ragguaglio indicato nell’art. 657-bis c.p.p. (tre giorni di prova sono equiparati a un giorno di reclusione o di arresto, ovvero a 250 euro di multa o di ammenda).
6.11. La sospensione del processo con messa alla prova può essere revocata nelle ipotesi tassativamente indicate dal legislatore; si tratta dei casi di: grave o reiterata trasgressione del programma di trattamento; grave o reiterata trasgressione delle prescrizioni imposte@, da intendersi con riferimento soprattutto agli obblighi relativi alle condotte riparatorie o risarcitorie; rifiuto di prestare il lavoro di pubblica utilità; comportamento recidivante dell’imputato, tuttavia riferito alla commissione di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede. La revoca, disposta dal giudice con ordinanza, determina la ripresa del procedimento dal momento in cui era rimasto sospeso; nondimeno, come nelle ipotesi di esito negativo della prova, il pubblico ministero, nel determinare in sede esecutiva la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente a quello della prova eseguita, secondo il criterio di ragguaglio indicato nell’art. 657-bis c.p.p.
L’esito negativo della prova così come la revoca dell’ordinanza di sospensione costituiscono impedimento invincibile alla riproposizione della relativa istanza (v. art. 464-novies c.p.p.) anche in successivi procedimenti penali che dovessero interessare l’imputato.
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