testi ed ipertesti

Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta

5. La messa alla prova minorile

di Giuseppina Panebianco

 

 5.1. La sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato, pur caratterizzandosi per la prevalente connotazione processuale@, trova il suo risvolto sostanziale nell’effetto estintivo del reato. La prima codificazione dell’istituto risale all’introduzione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni@, intese ad adeguare la disciplina del processo penale alle istanze imposte «dalle particolari condizioni psicologiche del minore, dalla sua maturità e dalle esigenze della sua educazione»@. La positiva sperimentazione del probation nel sistema penale minorile ne ha incoraggiato il successivo sviluppo nella disciplina generale, rispetto alla quale se ne rintraccia una sorta di anticipazione nel procedimento innanzi al giudice di pace@.

 5.2. La disciplina della messa alla prova minorile è condensata negli artt. 28 e 29 d.P.R. n. 448 del 1988 (recante le disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni) e nell’art. 27 d.lgs. n. 272 del 1989 (che dispone le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del d.P.R. n. 448 del 1988); il complesso di queste disposizioni lascia individuare agevolmente la ratio dell’istituto, inteso a risparmiare al minore la responsabilizzazione in chiave punitiva, attraverso l’attivazione di un percorso di recupero extrapenitenziario assistito dai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia che provvedono anche in collaborazione con i servizi locali.

 5.3. In ragione dello scopo educativo@, la messa alla prova dell’imputato minorenne non incontra limiti operativi, poiché può essere disposta indipendentemente dal tipo di reato commesso e senza altresì trovare ostacoli in preclusioni di tipo soggettivo. La stima dell’opportunità della messa alla prova del minore e delle modalità della sua sperimentazione è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, che la dispone con ordinanza sentite le parti@. Precisamente, il giudice ordina la sospensione del processo per un periodo non superiore a tre anni, quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni, e per un periodo non superiore a un anno negli altri casi (art. 28, comma 1, d.P.R. n. 448 del 1988). All’origine della concessione del beneficio vi è la necessità di valutare la personalità del minore@, laddove questa prospetti chances in termini di una positiva evoluzione verso modelli di comportamento socialmente adeguati, meritevoli di essere promosse attraverso una risposta istituzionale individualizzata. Per tali ragioni la giurisprudenza non esita a convogliare nel bagaglio degli indicatori di cui il giudice può disporre ai fini del giudizio prognostico anche quelli manifestatisi in epoca successiva al fatto incriminato@.

 5.4. L’insieme delle attività di osservazione, trattamento e sostegno che sostanziano la “prova” del minore ha dunque lo scopo di favorire il superamento della fase d’instabilità transeunte, scatenata dalle dinamiche adolescenziali e manifestatasi nella perpetrazione del reato, preservando il minore dai dannosi effetti stigmatizzanti connessi all’ingresso nel circuito penale@.

 Come anticipato, alla discrezionalità del giudice minorile non è affidato solo l’an del probation, ma anche il suo quomodo, vale a dire la determinazione dei contenuti della prova. Quest’ultima si sostanzia in prescrizioni impartite al minore, la cui determinazione è tuttavia affrancata da puntuali vincoli legislativi in modo da sviluppare un programma il più possibile corrispondente alle esigenze educative manifestate dall’imputato. In proposito occorre fare riferimento all’art. 27 del d.lgs. n. 272 del 1989, che pone alla base del provvedimento di sospensione il progetto di intervento elaborato dai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali. Il legislatore si è tuttavia limitato ad alcune indicazioni tematiche sul contenuto minimo del progetto@, che, laddove il giudice minorile ne ravvisi l’opportunità, può anche includere prescrizioni di tipo riparatorio-conciliativo, nonché l’invito a partecipare ad un programma di giustizia riparativa, ove ne ricorrano le condizioni (art. 28, comma 2, d.P.R. n. 448 del 1988 e art. 27, comma 2, lett. d, d.lgs. n. 272 del 1989)@.

 L’attività di osservazione, trattamento e sostegno svolta dai servizi cui il minore è affidato implica un costante dialogo con il giudice specializzato, che deve essere periodicamente informato dell’attività svolta. Ai servizi compete altresì il ruolo propulsivo dell’adeguamento in itinere del progetto, rispetto al quale il comportamento del minore e l’evoluzione della sua personalità potrebbe prospettare l’opportunità di modifiche, abbreviazioni, proroghe@ ovvero, in caso di ripetute e gravi trasgressioni, la revoca del provvedimento di sospensione (art. 27, comma 3, d.lgs. n. 272 del 1989 e 28, comma 5, d.P.R. n. 448 del 1988)@.

 5.5. Laddove a conclusione del periodo di sospensione il giudice ritenga che la prova abbia dato esito positivo@, dichiara l’estinzione del reato con sentenza. Tuttavia tale dichiarazione lascia impregiudicato l’esito di un eventuale giudizio civile, nell’ambito del quale compete al relativo giudice l’indagine e la valutazione della sussistenza dei fatti costitutivi della domanda, compresa la conseguente responsabilità dei genitori per il danno cagionato dal figlio minore ai sensi dell’art. 2048 c.c.@.

 5.6. Di contro, l’esito negativo della prova, così come la revoca del provvedimento di sospensione, determinano la prosecuzione del procedimento dal momento in cui era stato sospeso; tuttavia, diversamente da quanto previsto per gli adulti (art. 657-bis c.p.p.), il periodo trascorso in prova non produce alcun effetto sulla determinazione della pena da eseguire, neanche quando il programma educativo, nel caso concreto, dovesse comportare significative limitazioni della libertà personale@. Sebbene la questione sia stata sottoposta all’attenzione del Giudice delle leggi per violazione degli artt. 3, 31 e 27 Cost.@, la Consulta ha respinto le censure, sul presupposto dell’impossibilità di ravvisare alcuna funzione sanzionatoria nell’istituto minorile@.

 La conclusione della Corte costituzionale fa leva su alcuni profili di disciplina, che rimarcherebbero l’esclusiva funzione (ri)educativa della messa alla prova minorile, precisamente: 1) l’assenza di un vincolo di proporzionalità rispetto all’illecito perpetrato, reso palese dall’ambito operativo dell’istituto, che include qualsiasi reato, ivi compresi quelli puniti in astratto con la pena dell’ergastolo; 2) la discrezionalità nella definizione delle prescrizioni cui l’imputato deve essere sottoposto, che, a differenza della disciplina prevista per gli adulti, non devono necessariamente includere prestazioni di lavoro di pubblica utilità; 3) l’assenza di un richiamo ai criteri generali di commisurazione della pena di cui all’art. 133 c.p. ai fini della definizione delle prescrizioni. In questa prospettiva gli obblighi di comportamento imposti al minorenne rappresenterebbero altrettante «occasioni educative». Secondo la Consulta, la lettura delle regole di comportamento connesse alla prova in termini di altrettante sanzioni per il fatto di reato commesso, non solo ne fraintende il significato, ma determina il rischio «di incentivare condotte opportunistiche da parte dell’imputato»: questi «potrebbe essere indotto a rispettare formalmente le prescrizioni soltanto al fine di scontare anticipatamente la pena per il proprio reato in condizioni meno gravose di quelle che incontrerebbe in carcere, senza però impegnarsi in un reale percorso di cambiamento»@. Il ragionamento seguito dal Giudice delle leggi non ha mancato di destare perplessità in dottrina, in considerazione delle possibili ripercussioni del progetto di prova sulla libertà personale del minorenne che potrebbe risultare in concreto sacrificata in ragione dello scopo educativo@.

 

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