Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
Capitolo XIII | Depenalizzazione, improcedibilità e messa alla prova
1. Le depenalizzazioni
di Bianca Ballini
1.1. La parte speciale dell’odierno diritto penale si connota per lo smisurato numero di fattispecie di reato e conseguentemente per l’estensione ipertrofica dell’area di rilevanza penale, che ostacola la conoscibilità della legge penale.
Sul piano topografico, la proliferazione dei tipi criminosi si è registrata precipuamente nella legislazione extra codicem (c.d. diritto penale accessorio o complementare), tanto che si è parlato, al riguardo, di “de-codificazione”, quale controtendenza rispetto ai processi di codificazione di matrice ottocentesca.
Ciò non è dipeso soltanto dalla necessità di adeguare il diritto penale alle nuove istanze di tutela connessi all’evoluzione della realtà socio-culturale@. La sanzione penale è stata impiegata anche per colpire fatti ancora lontani dall’offesa al bene giuridico protetto o comunque dotati di minimo disvalore@. Non a caso, la maggior parte dei reati vigenti – soprattutto al di fuori del codice – ha natura contravvenzionale. La criminalizzazione di simili condotte affonda le radici in epoca illuministica, allorché, allo scopo di estendervi le garanzie penalistiche, vennero trasformati in reati i c.d. illeciti di polizia, infrazioni minori allora rimesse alla competenza dell’autorità amministrativa. In tempi più recenti, poi, la pan-penalizzazione è stata alimentata da un uso disinvolto e simbolico dello strumento penale, spesso impiegato per la punizione di mere inosservanze o, al contrario, di fatti gravi ma già ricompresi in fattispecie più generali (si pensi alle recenti fattispecie in tema di omicidio e lesioni stradali colposi, che duplicano, rafforzandola, una tutela già offerta da altre norme: v. infra Cap. XI, § 4).
1.2. Per ovviare agli eccessi di penalità che si pongono in contrasto con il principio di offensività, è stato elaborato e in parte attuato un programma politico-criminale di impronta deflattiva, il cui cuore è costituito dalla depenalizzazione c.d. in astratto, ossia dall’abrogazione delle incriminazioni dei fatti bagatellari@.
In dottrina, secondo un’interpretazione, si distingue tra “decriminalizzazione” e “depenalizzazione” (in senso stretto), a seconda che il fatto prima costituente reato divenga, rispettivamente, del tutto lecito oppure mantenga la rilevanza di illecito seppure non penale@. In particolare, in tale ultimo caso, il fatto viene riqualificato, solitamente, come illecito amministrativo e, in tempi recenti, anche come illecito civile punitivo (d.lgs. n. 7 del 2016). La depenalizzazione (in senso lato) si distingue, poi, dalla depenalizzazione c.d. in concreto, alla quale appartengono istituti eterogenei che lasciano intatta la rilevanza penale del fatto, rimettendo al momento applicativo la decisione in ordine alla sua punibilità.
In quest’ultimo ambito, dietro la spinta di esigenze di decongestionamento del carico giudiziario, sono stati introdotti, in tempi recenti, i tre istituti della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato (art. 168-bis c.p.), nonché delle condotte riparatorie che estinguono il reato (art. 162-ter c.p.). Mentre il primo consente al giudice di dichiarare la non punibilità dell’autore allorché il fatto concretamente realizzato risulti talmente esiguo da non meritare la pena@, gli altri due subordinano la prevista estinzione del reato, rispettivamente, nell’un caso, alla positiva realizzazione di una serie di condotte (che spaziano dalla riparazione del danno da reato allo svolgimento di lavori di pubblica utilità) durante il periodo in cui il processo resta sospeso proprio al fine di consentire lo svolgimento della prova; e, nell’altro, alla riparazione integrale del danno cagionato dal reato, da effettuarsi entro la dichiarazione d’apertura del dibattimento.
La politica di depenalizzazione in senso stretto è stata inaugurata a partire dagli anni ’60 del secolo scorso e attuata a più riprese dalle leggi n. 317 del 1967, n. 706 del 1975, n. 689 del 1981, nonché dai d.lgs. n. 507 del 1999 e nn. 7 e 8 del 2016.
1.3. Fatta eccezione per il d.lgs. n. 7 del 2016, che ha trasformato taluni reati in illeciti civili punitivi@, gli altri interventi di depenalizzazione hanno sostituito la sanzione penale con quella amministrativa.
Particolare menzione merita la l. n. 689 del 1981, che ha introdotto per la prima volta una disciplina organica – sostanziale e processuale – dell’illecito punitivo-amministrativo, sia esso tale ab origine o a seguito di depenalizzazione.
La maggior parte dei principi e delle regole ivi fissati hanno natura para-penale. Si pensi, ad esempio, ai principi di legalità e alla disciplina della capacità di intendere e di volere, dell’elemento soggettivo e del concorso di persone.
Gli stessi criteri di commisurazione della sanzione, seppure non incidenti sulla libertà personale, ne confermano la funzione afflittiva. Ciò ha indotto parte della dottrina a ricomprendere le due tipologie di illecito – l’una penale e l’altra amministrativa – nel medesimo genus del diritto punitivo@. La contiguità tra i due modelli anzidetti trova una conferma nella disciplina sul concorso apparente di norme (art. 9, l. n. 689 del 1981), che viene risolto con la prevalenza, rispetto a uno stesso fatto, della norma speciale.
Le somiglianze tra i due settori punitivi risultano ancora più accentuate ove si metta a confronto la struttura e la disciplina dell’illecito amministrativo-punitivo con il reato contravvenzionale. Ciò rende problematico il riparto funzionale tra i rispettivi settori di incidenza politico-criminale.
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