Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
8. La giustizia riparativa: il d.lgs. 150 del 2022
di Fausto Giunta
8.1. Alcune delle recenti riforme penali sono state incentivate economicamente dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il riferimento è alla l. n. 134 del 2021 in materia di prescrizione del reato (che ha introdotto l’improcedibilità dell’azione allo spirare dei nuovi termini di fase: due anni per l’appello e un anno per il giudizio di legittimità) e al d.lgs. n. 150 del 2022 che, pur intervenendo in modo puntiforme sull’assetto normativo previgente, è frutto di una visione politico-criminale unitaria. Se sul terreno processuale l’obiettivo principale è il recupero di efficienza della macchina repressiva, su quello sostanziale le innovazioni mirano alla deflazione e alla decarcerazione.
In questa prospettiva particolare attenzione meritano, innanzitutto, l’ulteriore sviluppo operativo della querela-selezione (v. infra cap. XIII, § 4) e l’ampliamento dei casi di remissione tacita (art. 152 c.p.), su cui si tornerà.
Anche l’istituto dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), è stato potenziato (v. infra cap. XIII, § 1). Il d.lgs. n. 150 del 2022 ne ha modificato il principale presupposto operativo concernente la gravità del reato. Quest’ultima non si desume più dal massimo della pena detentiva comminata, pari a cinque anni, bensì dal minimo edittale di due anni. Si tratta di una innovazione condivisibile perché è dal minimo edittale che si coglie il disvalore oggettivo del fatto. Per compensare l’accresciuta estensione applicativa dell’istituto, si è reso opportuno l’ampliamento del catalogo delle esclusioni.
Particolare attenzione merita infine la condotta susseguente al reato, come indice della tenuità del fatto. L’innovazione suggerisce un’accezione ampia e a-tecnica delle condotte riparatorie e ripristinatorie, che tuttavia non possono essere oggetto di autonoma considerazione@, rilevando nell’ambito di una valutazione olistica del fatto. Per esempio, una lesione personale particolarmente crudele non diventa certo tenue se il reo, dopo averlo aggradito, accompagna in ospedale il soggetto passivo.
8.2. In questo contesto un ruolo di spicco occupa la c.d. giustizia riparativa, presentata come il fiore all’occhiello della riforma.
Se si guarda alle sue traduzioni legislative, quali risultano all’esito di una pur sommaria analisi comparatistica, l’ambito operativo della giustizia riparativa risulta oltremodo vario. Essa può interessare tutti i reati oppure solamente gli illeciti penali meno gravi. D’altro canto, le condotte meritorie possono essere spontanee oppure assistite da un mediatore, che ha il compito di avvicinare i protagonisti del conflitto sociale. Quanto ai contenuti, la riparazione può assumere una forma simbolica (si pensi a dichiarazioni e scuse formali) o essere materiale e in quest’ultimo caso risarcitoria o ripristinatoria, completa o parziale. La condotta riparativa, infine, può intervenire prima del processo, durante la sua celebrazione o dopo la condanna, interagendo con il sistema sanzionatorio oppure operando al suo esterno.
8.3. Collegando tra loro le variabili anzidette, è possibile distinguere due diversi modelli di giustizia riparativa: l’uno forte, di tipo vittimo-centrico, l’altro debole, di impronta reo-centrica.
Il primo è incompatibile con la pena come categoria logica: l’ideologia che lo ispira è riconciliativa, più simile alle caratteristiche della giurisdizione di pace, che a quella del diritto penale comunemente inteso. La giustizia riparativa in senso forte, muovendo dalla sofferenza della vittima per l’offesa subita, promuove i comportamenti satisfattivi del reo, che tendono a sostituire la pena come strumento di superamento del conflitto sociale. In senso debole, invece, la riparazione ben si presta a integrare la giustizia tradizionale: i comportamenti del reo a beneficio della vittima depongono a favore di un percorso riabilitativo, che giustifica l’attenuazione dei contenuti afflittivi della pena come categoria storica.
8.4. L’art. 42 del d.lgs. 150 del 2022 offre una definizione di giustizia riparativa molto generale, indentificandola con “ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore”.
In realtà, la via italiana alla giustizia riparativa, sebbene pensata in relazione a tuti i reati, presenta in prevalenza i caratteri della concezione debole, di cui si è detto. La sua gestione, infatti, rimane nelle mani dello Stato che tiene conto dell’avvenuta riparazione se del caso dissentendo, per tramite del giudice, dalla valutazione della vittima (es. art. 162-ter c.p.). E ancora: per quanto si delinei un indebolimento del ruolo della giurisdizione a favore dei servizi sociali, la principale forma di riparazione è quella “laica” del risarcimento, che ha perso il significato di prezzo del sangue, tipico del diritto antico e del diritto islamico. Per il resto, l’esito riparativo può rilevare come remissione della querela (art. 152 c.p.), circostanza attenuante ai sensi dell’art. 62 n. 6 c.p., onere specialpreventivo della sospensione condizionale “breve” (art. 153 c.p.), elemento valutabile ai fini del lavoro all’esterno, dei permessi-premio, della liberazione condizionale e delle misure alternative (art. 78, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 150 del 2022).
8.5. Con una espressione molto efficace la Restorative Justice viene descritta come una giustizia senza spada. Questa assimilazione, però, vale più per l’accezione forte della giustizia riparativa, che per quella che abbiamo definito debole. In ogni caso non si deve pensare che la giustizia riparativa sia per definizione mite. Per restare nella metafora, anch’essa ha una spada: non quella a doppio taglio di cui parlava Franz von Liszt@, bensì la spada laser degli Jedi, figure sensibili al lato chiaro della forza, secondo la fantasiosa mitologia di Star wars.
La logica riparativa, infatti, a differenza di quella reo-centrica tradizionale, è bipolare, nella misura in cui ritaglia uno spazio addirittura prioritario a favore della vittima. Le prerogative riconosciute a quest’ultima possono entrare in tensione con le garanzie pensate per la persona indicata come autore del reato. L’azione punitiva può spostarsi dal corpo al for interno, specie in considerazione della mancata tipizzazione delle condotte riparative simboliche rivolte alla soddisfazione della vittima. L’autoritarismo del diritto penale muta pelle, rischia di trasformarsi in paternalismo manipolatore, seppure dialogico e soave, talvolta anche umiliante. Tutto ciò nel rispetto formale del (possibile) reo, indotto a partecipare ai programmi di giustizia riparativa dalla forza persuasiva della punizione incombente.
8.6. Sul piano processuale lascia perplessi in particolare il disposto dell’art. 129-bis c.p.p. “In ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria può disporre, anche d’ufficio, l’invio dell’imputato e della vittima del reato (…) al Centro per la giustizia riparativa di riferimento, per l’avvio di un programma di giustizia riparativa”. Quando l’“invito” proviene dal giudice, la sua decisione entra in tensione con la presunzione di non colpevolezza dell’imputato, che ha rilevanza costituzionale. Senza contare che, ove la conciliazione non abbia successo, magari per volontà della vittima, l’imputato tornerà dal giudice per essere giudicato. Sebbene l’art. 51, d.lgs. n. 150 del 2022 disponga l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel corso del programma, resta il fatto che l’imputato si ripresenterà da chi lo ha pre-giudicato come colpevole; altrimenti non lo avrebbe avviato a un percorso riconciliativo.
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