testi ed ipertesti

Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta

6. Le sanzioni irrogabili dal giudice penale di pace

di Fausto Giunta

 

 6.1. Il monopolio della pena detentiva, nell’ambito delle tipologie punitive principali, ha trovato solo di recente un’eccezione. Il riferimento è alla giurisdizione di pace. L’idea di affidare alle cure di un giudice senza toga una parte della giustizia penale c.d. minore è stata realizzata dal d.lgs. n. 274 del 2000. Questo importante comparto normativo ha esteso la competenza della giurisdizione onoraria, già sperimentata nel campo civile, ad alcuni settori della materia penale, mantenendo tuttavia inalterato il ruolo preminente del giudice di pace quale mediatore delle controversie individuali.

 A prima vista, la nuova disciplina può sembrare l’ennesima riforma settoriale extra codicem, finalizzata a creare un sottosistema, composto da profili di disciplina sia penale che processuale, tendenzialmente indipendente – per principi di disciplina e funzioni politico-criminali – dai due corpi codicistici di riferimento. In effetti, il nuovo circuito giurisdizionale presenta indubbie peculiarità, cui si accompagna un repertorio di importanti innovazioni. Si pensi all’ampliamento della tipologia delle pene principali, alla scomparsa del carcere per i reati devoluti alla competenza del giudice di pace, all’esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto e all’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie. Sarebbe riduttivo considerare la riforma come un espediente votato principalmente alla deflazione processuale. È ben vero, piuttosto, che essa sottende una concezione del reato come frattura sociale componibile. Da qui, il mantenimento e l’accentuazione della funzione conciliativa del giudice pacificatore, espressamente prevista dall’art. 29, comma 4, e per altro verso il ricorso alla logica della punizione come extrema ratio.

 6.2. Iniziando dalla competenza per materia, essa spazia da reati codicistici a fattispecie extra codicem.

 Quanto ai primi, si pensi ai delitti offensivi del patrimonio (come quelli previsti agli artt. 626, 627, 635, comma 1, 637, 638, comma 1, 639, 647 c.p. nonché dagli artt. 631, 632, 633, comma 1, e 636, salvo che questi ultimi reati concernano “acque, terreni, fondi o edifici pubblici o destinati ad uso pubblico”) e a quelli contro la persona di minore gravità (come le fattispecie di cui agli artt. 581, 582, 590, 593, commi 1 e 2, 594, 595, commi 1 e 2, e 612, comma 1. Non si è mancato di devolvere alla nuova giurisdizione anche alcune contravvenzioni, per l’esattezza gli illeciti di cui agli artt. 689, 690, 691, 726, comma 1, e 731 c.p.

 Tra di loro eterogenei sono invece i reati extra codicem devoluti alla giurisdizione onoraria, che includono illeciti formali incidenti su interessi lato sensu superindividuali, in quanto tali meno adatti alla con la logica riparativa e conciliativa che ha ispirato la riforma.

 6.3. Come si anticipava, la novità di fondo ha riguardato il sistema sanzionatorio e precisamente la scomparsa della pena detentiva per i reati devoluti alla competenza del giudice di pace. In sua vece il d.lgs. n. 274 del 2000 ha introdotto nuove tipologie sanzionatorie, aventi contenuto non carcerario. Accanto alla pena pecuniaria, sono state previste le sanzioni della permanenza domiciliare (art. 53) e del lavoro di pubblica utilità (art. 54), che vanno ad ampliare il catalogo delle pene principali esistenti nel nostro ordinamento. Trattandosi di autonome sanzioni non detentive, la loro inosservanza è punita con un apposito delitto, la cui pena non può essere sostituita ai sensi dell’art. 53 e seguenti della l. n. 689 del 1981.

 La permanenza domiciliare consiste nell’obbligo di rimanere presso la propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo di cura, assistenza o accoglienza nei giorni di sabato o domenica, salvo che ricorrano particolari esigenze del condannato. Quanto alla durata della nuova sanzione, l’art. 53, comma 2, stabilisce che essa “non può essere inferiore a sei giorni né superiore a quarantacinque giorni”. La permanenza domiciliare costituisce dunque una pena di tipo “paradetentivo”, avente durata normalmente frazionata e destinata a incidere pur sempre sulla libertà personale, la quale, di regola, verrà compressa nella cornice, certamente meno afflittiva e desocializzante, dell’abitazione del condannato.

 Il lavoro di pubblica utilità, infine, è una sanzione dai contenuti positivi, in quanto caratterizzata da obblighi di fare. Per questo motivo la sua irrogazione è stata opportunamente subordinata dall’art. 54, comma 1, alla richiesta del condannato. La durata della nuova pena “non può essere inferiore a dieci giorni né superiore a sei mesi e consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato”. Ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione, anche non continuativa, di due ore di lavoro.

 6.4. Il sistema si ispira, dunque, al principio della pena come ultima ratio. In effetti, l’irrogazione della sanzione punitiva si profila come una conclusione estrema, che dovrebbe verificarsi in una minoranza di casi: ossia quando il giudice abbia escluso che il fatto sia particolarmente tenue (art. 34) e non abbiano avuto esito le procedure conciliative mirate alla riparazione delle conseguenze del reato (artt. 29, comma 2, e 35).

 Per quanto concerne il primo di tali epiloghi anticipati, la causa di improcedibilità per particolare tenuità del fatto si ispira a una visione “gradualistica” del reato, la quale ammette l’indipendenza tra il piano della tipicità e quello del bisogno di pena in concreto. Qualcosa di simile avviene nei reati perseguibili a querela in funzione selettiva, dove l’apprezzamento del bisogno di pena è rimesso al titolare del diritto di querela. Diversamente da tali ipotesi, però, nel contesto dell’istituto disciplinato dall’art. 34 la particolare tenuità del fatto è valutata dal giudice.

 6.5. Non meno innovativa è la causa di estinzione del reato prevista dall’art. 35 per il caso in cui l’imputato abbia dimostrato di “aver proceduto, prima dell’udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato”. Le peculiarità del meccanismo estintivo disciplinato dall’art. 35 si correlano strettamente alla funzione mediatrice del giudice di pace, che può esplicarsi appieno soprattutto in relazione ai reati offensivi di interessi. Come si è visto, infatti, stante la natura interpersonale del conflitto creato da tali reati, il risarcimento del danno e l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, se accettata dalla vittima come forma di riparazione, consente di sanare il conflitto stesso, rendendo superflua, in un’ottica di privatizzazione della risposta sanzionatoria e di conseguente disponibilità della stessa, l’irrogazione di una pena. Quanto alle modalità in cui può realizzarsi la condotta riparatoria, sebbene l’art. 35 indichi congiuntamente il risarcimento, le restituzioni e l’eliminazione delle conseguenze del reato, ciascuna di esse risulta doverosa in ragione delle caratteristiche del fatto storico, con la conseguenza che, senza con ciò introdurre alcuna libertà di scelta da parte dell’autore del fatto, tali condotte possono risultare in concreto anche alternative.

 A norma dell’art. 35, comma 2, il giudice di pace può pronunciare la sentenza di estinzione del reato “solo se ritiene le attività risarcitorie e riparatorie idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione e quelle di prevenzione”. In breve, stando al tenore della disposizione citata, l’estinzione del reato presuppone il pieno soddisfacimento di tutte le istanze che sono sottese alla c.d. concezione polifunzionale della pena: ossia la proporzione della risposta sanzionatoria e la sua adeguatezza a perseguire finalità di prevenzione generale e speciale.

 Va da sé, tuttavia, che un’applicazione rigorosa di tutti questi parametri equivarrebbe a introdurre una valutazione giudiziale assai impegnativa e improba, tale da favorire un’applicazione sporadica dell’istituto estintivo, in contrasto con la filosofia complessiva della giurisdizione di pace. Proprio per evitare un siffatto epilogo interpretativo, certamente estraneo alla logica del nuovo impianto normativo, appare inevitabile la valorizzazione di alcuni parametri di giudizio a scapito di altri, nel senso che, tra le varie funzioni della pena, sia proprio quella generalpreventiva a dover pesare di meno.

 

82 di 207


Sommario