Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
5. Le pene sostitutive
di Fausto Giunta
5.1. Per ovviare agli effetti criminogeni delle pene detentive di breve durata, la l. 24 novembre 1981, n. 689 aveva introdotto nel nostro sistema tre sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi. La semidetenzione, la libertà controllata e la pena pecuniaria potevano sostituire la pena detentiva irrogata in misura non superiore rispettivamente a due anni, un anno e sei mesi.
Il recente d.lgs. n. 150 del 2022 ha preso atto della loro scarsa applicazione, dovuta alla maggiore appetibilità della sospensione condizionale, quale beneficio concorrente.
Per ovviare a questo inconveniente, il d.lgs. n. 150 del 2022 ha ripensato la materia, accentuando, anche sul piano nominalistico, il profilo punitivo di queste sanzioni, non a caso chiamate oggi “pene sostitutive” e menzionate anche nel codice penale all’art. 20-bis.
L’innovazione principale, però, è un’altra e riguarda i contenuti tipologici. Sono state abrogate, infatti, la semidetenzione e la liberà controllata. Al loro posto figurano, oltre alla pena pecuniaria sostitutiva, la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva e il lavoro di pubblica utilità sostitutivo.
Soprattutto è stato aumentato il loro raggio operativo. La semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva operano in luogo della reclusione o all’arresto non superiori a quattro anni; il lavoro di pubblica utilità sostitutivo al posto della reclusione o dell’arresto non superiori a tre anni; la pena pecuniaria può sostituire la reclusione o l’arresto non superiori a un anno.
5.2. La riforma prova a smarcare le prime tre pene sostitutive dalla operatività concorrente della sospensione condizionale, che, come noto, riguarda le pene di durata non superiore a due anni. Si chiarisce inoltre che le pene sostitutive non sono condizionalmente sospendibili.
In realtà sul punto sia il codice penale, sia la l. n. 689 del 1981 tacciono. La soluzione della non sospendibilità, però, si ricava dall’art. 545-bis c.p.p., che dispone: “Quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, subito dopo la lettura del dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all’articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ne dà avviso alle parti”. La prima scelta del giudice di cognizione, dunque, è quella tra sospendere o non sospendere la pena principale. Al tal fine, “il giudice può acquisire dall’ufficio di esecuzione penale esterna e, se del caso, dalla polizia giudiziaria tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita, personali, familiari, sociali, economiche e patrimoniali dell’imputato”. Vengono ad assottigliarsi così le differenze tra la fase della cognizione e quella dell’esecuzione.
Ebbene, nel caso di condanna a una pena astrattamente sospendibile, non si vede come possa darsi fiducia a un reo per il quale è stata esclusa la sospensione condizionale. Se la ragione dell’esclusione è la prognosi sfavorevole, non vi è spazio per pene che prevedono comunque la responsabilizzazione del condannato.
In relazione alle pene detentive superiori a due anni, se la prognosi è favorevole, il trittico sostitutivo non sfugge invece all’abbraccio sterilizzante dall’affidamento in prova al servizio sociale. Altrimenti non potrà che applicarsi la pena detentiva.
In definitiva la riforma sembra meno rivoluzionaria di come è stata presentata.
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