Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
4. Le pene accessorie
di Costanza Bernasconi
4.1. La tipologia e la disciplina delle pene accessorie previste dal nostro ordinamento hanno per lungo tempo risentito in larga misura della matrice storica dell’istituto. La dottrina è, infatti, sostanzialmente concorde nel ravvisare nell’infamia dell’antico diritto romano l’archetipo originario da cui prenderanno forma nel corso dei secoli successivi le misure che ricollegano alla sentenza penale di condanna l’insorgere di svariate preclusioni e limitazioni.
Nondimeno, attualmente il nostro ordinamento contempla un novero piuttosto ampio di pene accessorie, poiché al nucleo originariamente previsto dalla parte generale del Codice penale, si sono via via aggiunte ulteriori tipologie, sia nell’ambito della parte speciale dello stesso Codice, sia – soprattutto – nell’ambito della legislazione speciale extra codicem, in relazione a singole e nominate ipotesi di reato o a gruppi di reati.
Parrebbe ormai pacifico, infatti, che l’elenco delle pene accessorie contenuto nell’art. 19 c.p. non abbia carattere tassativo, sicché, con riferimento appunto a specifiche fattispecie incriminatrici, il legislatore ha ulteriormente modellato i contenuti delle conseguenze accessorie, implementando il catalogo di quelle generali. In tal modo, peraltro, le pene accessorie speciali riescono meglio a costruire contenuti sanzionatori che si pongano in stretta correlazione con le peculiarità del reato commesso
Così, per esempio, l’art. 600-septies.2 c.p. contempla come pene accessorie per i delitti contro la personalità individuale di cui agli artt. 600 ss. c.p. e per il delitto di cui all’art. 414-bis c.p., oltre a sanzioni già riconducibili a quelle previste dalla parte generale, anche altre e diverse ricadute pregiudizievoli, quali la perdita del diritto agli alimenti e l’esclusione dalla successione della persona offesa, l’interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o strutture pubbliche o private frequentate abitualmente da minori. L’art. 544-sexies c.p. dispone la pena accessoria della sospensione dell’attività di trasporto, di commercio o di allevamento di animali come conseguenza della sentenza di condanna per i reati di maltrattamento, spettacoli o manifestazioni vietati, divieto di combattimento tra animali. L’art. 603-ter prevede che la condanna per i delitti di cui agli articoli 600 (limitatamente ai casi in cui lo sfruttamento ha ad oggetto prestazioni lavorative) e 603-bis, importi l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese, nonché il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione, e relativi subcontratti, oltre che l’esclusione per un periodo di due anni da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici, nonché dell’Unione europea, relativi al settore di attività in cui ha avuto luogo lo sfruttamento.
4.2. Ancor più, le pene accessorie hanno rivelato una tendenza alla loro continua espansione nella legislazione speciale extra codicem, la quale, intervenendo a disciplinare settori particolari di attività, si è rivelata maggiormente incline ad utilizzare nuove tipologie sanzionatorie.
Sennonché, individuare, oggi, sanzioni pacificamente riconducibili al novero delle pene accessorie è operazione meno agevole di quanto, prima facie, potrebbe apparire, proprio a causa del progressivo incremento di svariate preclusioni e conseguenze pregiudizievoli, variamente denominate e congegnate, che sovente il legislatore prevede come precipitato di una sentenza di condanna.
Tale processo di implementazione, infatti, non solo ha influito sul catalogo, sempre più ricco e variegato, di dette sanzioni, ma ha, altresì, da un lato evidenziato un’ibridazione della categoria con altri istituti e conseguenze sfavorevoli della condanna, in alcuni casi riconducibili – invero – al novero delle sanzioni amministrative accessorie o degli effetti penali della condanna, e, dall’altro lato, ha inciso sulla fisionomia delle pene accessorie, portando ad una progressiva (indiretta e per lo più silente) disintegrazione di taluni tratti caratterizzanti della relativa regolamentazione@.
L’originaria disciplina che il codice Rocco riservava alle pene accessorie era, infatti, ispirata ad alcune coordinate molto chiare e coerenti: automaticità, inderogabilità ed indefettibilità delle stesse. Ne derivava una pressoché assenza di discrezionalità del giudice in merito alla possibile esclusione di esse, nonché – salvo poche eccezioni – in merito alla loro concreta quantificazione. Erano, infatti previsti diversi automatismi applicativi, sia in relazione all’an, sia in relazione al quantum di dette conseguenze complementari.
Ora, invece, nella parte speciale sono previste anche ipotesi nelle quali al giudice è attribuito un rilevante potere discrezionale relativo sia all’an di applicazione delle sanzioni accessorie, sia – addirittura – alla possibilità di cumulare una pluralità di misure restrittive.
In tale prospettiva, si ricorda, per esempio, come più volte la giurisprudenza abbia ribadito che le pene accessorie del ritiro della patente di guida e del divieto di espatrio, previste come conseguenza di taluni delitti in materia di stupefacenti, non conseguono ex lege alla condanna, posto che esse non hanno natura obbligatoria, bensì facoltativa. Talché la loro irrogazione, in quanto discrezionale, richiede una specifica motivazione da parte del giudice@. Analogo discorso vale in relazione alle pene accessorie previste dall’art. 1, comma 1-bis, d.l. n. 122 del 1993, ove si attribuisce al giudice un potere discrezionale circa la facoltà di disporne o meno l’applicazione, oltre che di applicare una o più delle misure ivi contemplate.
Ulteriori rilevanti profili di “originalità” si riscontrano, altresì, nel microcosmo delle sanzioni interdittive previste dal nostro legislatore nell’ambito del sistema di responsabilità da reato degli enti.
4.3. È, poi, sempre nell’ambito della parte speciale che hanno iniziato ad essere (meglio) scolpiti i profili di tensione della disciplina in tema di pene accessorie con il sistema valoriale desumibile dalla Costituzione, segnatamente con l’istanza di individualizzazione del trattamento sanzionatorio imposta, inter alia, dall’art. 27 Cost.
Un rilievo decisivo nel cammino di destrutturazione degli automatismi in tema di pene accessorie è stato, infatti, assunto da due pronunce con le quali la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi, rispettivamente, l’art. 569 e l’art. 566, comma 2, c.p. nella parte in cui essi prevedevano l’applicazione automatica e indefettibile della sanzione accessoria della perdita della potestà genitoriale a carico dei soggetti condannati per i reati di alterazione e soppressione di stato di cui all’art. 567 c.p.@.
Sulla medesima strada si è, poi, successivamente collocata un’ulteriore e più recente presa di posizione della Consulta, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 574-bis, comma 3, c.p., nella parte in cui prevedeva che la condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all’estero ai danni del figlio comportasse la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la mera possibilità per il giudice di disporre la sospensione medesima@.
Infine, un’ulteriore tappa fondamentale nel processo evolutivo della giurisprudenza in tema di pene accessorie è senz’altro rappresentata dalla pronuncia con la quale il Giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 216, u.c., l. fall., nella parte in cui prescriveva che la condanna per uno dei fatti previsti dallo stesso articolo comportasse l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni, anziché “fino a dieci anni”. In questo caso, a differenza dei precedenti, l’attenzione del Giudice delle leggi non ha coinvolto il profilo dell’automatica applicazione della conseguenza sanzionatoria, bensì quello dell’effetto blindato che coinvolgeva la durata della stessa, incompatibile – ad avviso della Corte – “con i principi costituzionali in materia di pena, e segnatamente con i principi di proporzionalità e necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio”@.
4.4. Tanto premesso, occorre però anche ricordare come, specie negli ultimi tempi, il legislatore abbia “riscoperto” – non di rado in forma piuttosto discutibile – la vocazione alla dissuasione ex ante insita nella comminatoria delle pene accessorie, attraverso la minaccia di sanzioni particolarmente temibili quanto a contenuti afflittivi, capaci – addirittura – in taluni casi di sovrastare quelli insiti nella stessa pena principale.
Alcuni recenti interventi di riforma, attuati con l. n. 69 del 2015, ma soprattutto con l. n. 3 del 2019, hanno per esempio puntato molto sull’inasprimento delle pene accessorie come strumento di contrasto nei confronti dei reati di corruzione, imprimendo a siffatto aspetto della penalità una significativa involuzione di segno autoritario e repressivo. Il legislatore ha, infatti, riposto molte aspettative sul rafforzamento dell’apparato sanzionatorio complementare alla pena principale, attuato non solo mediante pesanti interventi sulla durata (anche perpetua) delle pene accessorie e un’estensione del loro ambito applicativo, ma, altresì, attraverso l’introduzione di deroghe variamente congegnate volte a regolamentare – in forma derogatoria rispetto alla disciplina generale – i rapporti tra pene accessorie, da un lato, sospensione condizionale, patteggiamento e riabilitazione, dall’altro lato.
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