testi ed ipertesti

Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta

2. La riforma del 1974 e la commisurazione della pena

di Costanza Bernasconi

 

 2.1. La norma di parte speciale esprime le scelte politico-criminali assunte dal legislatore non solo in relazione alla descrizione del fatto tipico, ma anche in relazione all’individuazione del trattamento sanzionatorio.

 Nella comminatoria edittale è, infatti, condensata la valutazione dell’ordinamento in ordine alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto. Sicché, la pena che il giudice applica nei confronti del soggetto ritenuto responsabile di un reato deve sempre essere individuata nel rispetto di siffatte valutazioni, le quali attuano, da un lato, il principio di legalità della sanzione e, dall’altro lato, il principio di soggezione dell’interprete alle scelte politico-criminali assunte dal Parlamento.

 Il procedimento di commisurazione della pena nel nostro ordinamento è, dunque, governato da una discrezionalità vincolata, che rappresenta il punto di equilibrio tra l’istanza garantista della suddetta legalità (sub specie di predeterminazione della tipologia e della misura della pena) e l’esigenza di individualizzazione giudiziale del trattamento sanzionatorio, in attuazione dei principi enunciati dall’art. 27, commi 1 e 3, Cost.

 2.2. Sennonché, nel corso del tempo, si sono registrati interventi legislativi volti ora ad ampliare, ora a restringere la discrezionalità giudiziale in sede di commisurazione della sanzione.

 Tali oscillazioni sono in larga misura da imputare all’incapacità dello stesso legislatore di addivenire ad una riforma organica della parte speciale del codice, oltre cha alla mancanza di visione di insieme del problema sanzionatorio, segnatamente in merito alla tipologia e ai tariffari delle diverse pene.

 Tra gli interventi che hanno comportato una consistente estensione del potere discrezionale del giudice rientra senz’altro il d.l. n. 99 del 1974 (convertito con l. n. 220 del 1974), che, tra le altre cose: ha riformato la disciplina del reato continuato, estendendo l’applicazione dell’istituto fino a comprendervi anche violazioni di diverse disposizioni di legge; ha trasformato l’aggravante della recidiva da obbligatoria in facoltativa; ha ampliato i limiti di concessione della sospensione condizionale della pena; ha abrogato il divieto di bilanciamento (originariamente previsto) nei confronti delle circostanze inerenti alla persona del colpevole e delle circostanze ad efficacia speciale.

 Soprattutto quest’ultimo aspetto della riforma è stato oggetto di attenzione da parte della dottrina, posto che esso ha enfatizzato il rischio di configurare un “diritto libero”, rimesso a scelte individuali del giudice, il quale verrebbe in tal modo ad esercitare poteri caratterizzati da un’enorme latitudine@.

 Senza dubbio, infatti, il giudizio di bilanciamento delle circostanze costituisce una delle massime espressioni della discrezionalità in sede applicativa, affidato come è alla “cultura, all’“esperienza” e alla “capacità di intuizione” del giudice che lo pone in essere (v. la Relazione al Re del Ministro Guardasigilli, presentata all’udienza del 19 ottobre 1930 per l’approvazione definitiva del Codice penale, § 47@). Sicché, il venir meno, per effetto della riforma del 1974, di quei limiti, che ab origine ne contenevano parzialmente gli ambiti, ha innescato una surrettizia trasposizione al giudice di funzioni, in tema di politica sanzionatoria, proprie del legislatore.

 In effetti, la ratio di siffatto intervento è stata da più parti ricondotta proprio alla riluttanza del legislatore ad effettuare precise scelte di politica criminale in relazione alla revisione dei limiti edittali – molto rigorosi e avvertiti ormai come anacronistici – previsti da un rilevante numero di fattispecie incriminatrici. Tanto che, la dilatazione dei margini di discrezionalità del giudice in sede di bilanciamento delle circostanze è stata interpretata come una sorta di “scorciatoia” per attenuare detto rigore, evitando al contempo l’impegnativa revisione della parte speciale@, “un surrogato (sgradevole, ma inevitabile) di un organico intervento normativo”, di fronte alla “riforma mancata” delle “asprezze sanzionatorie ereditate dal codice Rocco”@.

 2.3. Tuttavia, “il potenziamento della discrezionalità giudiziale, da rimedio al rigore delle comminatorie edittali ha finito per trasformarsi in un fattore di erosione della stessa legalità della pena”@. Infatti, se originariamente il sistema circostanziale “nella sua pletorica sovrabbondanza casistica costituiva il veicolo del primato riconosciuto alle valutazioni legali”, ora esso finisce con il convertirsi “in agile strumento di «revisione» del trattamento sanzionatorio edittale, rimesso all’apprezzamento discrezionale del giudice”@. Si è, in tal modo, affermata un’inedita forma di supplenza giudiziaria – paradossalmente avallata dallo stesso legislatore – che può spingersi fino all’individuazione della cornice di pena in concreto applicabile.

 Muovendo, dunque, dalla constatazione che siffatta rilevantissima estensione del giudizio di bilanciamento può avere l’effetto di sovvertire in via giudiziale le scelte sanzionatorie assunte dal legislatore e vanificare la funzione individualizzante svolta dalle circostanze (soprattutto da quelle ad efficacia speciale, appunto), si comprende il motivo in forza del quale l’ordinamento abbia poi successivamente reagito a detto intervento normativo, con rimedi diversamente congegnati

 In alcuni casi, siffatta reazione si è concretizzata nella (ri)qualificazione di determinate ipotesi, ab origine circostanziali, come autonome fattispecie di reato. È, questo, per esempio, il caso del furto in abitazione e del furto con strappo, elevati, con l. n. 128 del 2001, ad autonome fattispecie incriminatrici proprio allo scopo di escludere dall’eventuale bilanciamento con circostanze attenuanti gli elementi specializzanti ai quali l’ordinamento ha ricollegato un considerevole inasprimento sanzionatorio.

 In altri casi, il legislatore ha, invece, introdotto (dapprima, soprattutto nell’ambito della parte speciale, in un secondo momento anche modificando disposizioni di parte generale) previsioni volte ad apportare deroghe alla disciplina generale del giudizio di comparazione.

 Sono, dunque, ad oggi numerose le ipotesi nelle quali l’esito del giudizio di bilanciamento, in relazione a specifiche circostanze, è in tutto o in parte predeterminato ex lege (come si suole dire, “blindato”), essendo precluso al giudice di dichiarare prevalenti o anche solo equivalenti le concorrenti circostanze di segno opposto.

 

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