Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
2. Il diritto penale dell’economia
di Gianfranco Martiello
2.1. Nel Libro II del codice penale è presente un Titolo VIII espressamente dedicato ai delitti contro «l’economia pubblica», ma, già ad un primo e superficiale sguardo, tale raggruppamento normativo mostra chiaramente la propria datata origine storica, che ne determina l’inidoneità a rappresentare il moderno concetto di «reato economico», non certo più coincidente con le sole condotte depauperative delle materie prime e dei mezzi di produzione dannose per l’intera economia nazionale. E ciò – si badi – senza considerare la problematica compatibilità di alcune di tali fattispecie con il mutato quadro giuridico, come dimostrano, su tutti, i reati di sciopero e serrata per fini contrattuali, non a caso fortemente manipolati dalla Consulta, quando non addirittura dichiarati incostituzionali.
Del resto, nonostante che, più di recente, il legislatore abbia tentato di attualizzare tale categoria sistematica, inserendovi fattispecie orientate a tutelare la moderna proprietà industriale o l’origine certificata dei prodotti agroalimentari (v. artt. 517-ter, 517-quater e 517-quinquies c.p.), i reati compresi nel suddetto Titolo VIII hanno comunque da sempre mostrato quanto meno due contrapposti eccessi, che li rendono, per una parte, eccentrici rispetto allo stesso bene giuridico di categoria attorno al quale essi dovrebbero coagularsi, e, per un’altra parte, incapaci a fornire la promessa tutela. Da un canto, infatti, appare evidente come alcune di quelle fattispecie incriminino sostanzialmente fatti di truffa contrattuale, che solo ove mentalmente collocati in una supposta catena di ripetizioni seriali possono ritenersi astrattamente offensivi della «economia pubblica». Dall’altro, ed all’opposto, risulta altrettanto chiaro come la pretesa – espressa in altre disposizioni incriminatrici – che una singola condotta arrechi danno all’intera produzione nazionale, agricola o industriale che sia, renda tali fattispecie applicabili soltanto a vicende economicamente “catastrofiche”, condannandole, conseguentemente, ad una operatività del tutto residuale@.
2.2. Si potrebbe allora pensare che la denominazione «diritto penale dell’economia», e quelle ad essa associabili, sia propria del linguaggio parlato dalla dottrina, del resto incline a costruire categorizzazioni concettuali. Una tale supposizione coglierebbe certamente nel segno, ma sarebbe tutt’altro che decisiva per il successivo e proficuo svolgersi dell’indagine, che di certo sarebbe chiamata a ricostruire i contenuti che tale espressione sottintende.
In effetti, è agevole constatare come, specie negli ultimi venti anni, sia fiorita una vasta manualistica variamente dedicata al «diritto penale dell’economia», al «diritto penale dell’impresa», al «diritto penale commerciale», alle «condotte economiche» quali fonti di «responsabilità penale», sino a giungere a trattazioni che hanno inteso isolare anche una vera e propria «Parte generale» del diritto penale economico. Tuttavia, proprio guardando a tale produzione didattica, non è difficile accorgersi come la consistenza della “materia” qui in rilievo non sia univocamente intesa. Ed invero, se da un lato emerge l’innegabile esistenza di un nocciolo duro dai più condiviso, costituito dai reati societari, dai reati fallimentari, dai reati in materia di mercati finanziari, ai quali spesso si aggiunge la responsabilità da reato delle persone giuridiche, dall’altro risulta in modo altrettanto evidente come la pertinenza all’ambito de quo di ulteriori classi di fattispecie sia invece oscillante, risentendo, evidentemente, delle scelte discrezionalmente operate dai vari autori. È questo il caso, ad esempio, dei predetti reati di cui al Titolo VIII, Libro II del codice penale, dei reati ambientali, di certi reati contro il patrimonio ritenuti idonei ad attingere valori economici collettivi o pubblici (si pensi alla truffa ai danni dello Stato o dell’UE, alle varie forme di riciclaggio e reimpiego di valori, all’usura, ecc.), dei reati in materia di sicurezza del lavoro, dei reati doganali, dei reati tributari, dei reati in materia di proprietà intellettuale.
2.3. Naturalmente, le segnalate differenze circa l’ubi consistam dell’oggetto che qui interessa non sono casuali, né paiono il risultato di scelte arbitrarie. Il vero è, difatti, che nel definire il concetto di «reato economico» – e quindi, per estensione, quello di «diritto penale economico» – la dottrina ha storicamente seguito almeno due approcci differenti: a) quello c.d. «funzionale», che definisce il reato economico come fatto strumentalmente connesso all’esercizio di un’attività economica in forma di impresa, nel cui “ambiente” – anche criminologico – esso perciò troverebbe la propria genesi, tanto che alcuni preferiscono precipuamente parlare al riguardo di «diritto penale dell’impresa»; b) quello c.d. «effettuale», che invece individua siffatto illecito in ragione della sua incidenza offensiva su interessi di natura economica, con la non trascurabile precisazione che questi ultimi dovrebbero comunque avere natura sovraindividuale, la quale solitamente emerge laddove la ricchezza prodotta non si sia cristallizzata su singoli e statici beni (il «patrimonio»), ma conservi uno stato per così dire “dinamico”, aperto allo scambio ed alla sua circolazione.
Sono questi, come appare evidente, approcci diversi, in parte connotati anche da elementi tautologici, che ben spiegano, a valle, la diversa ampiezza dei confini legittimamente attribuibili al «diritto penale dell’economia», che non a caso viene da molti visto – forse con una certa rassegnazione definitoria – come uno «spazio aperto ed in continuo divenire»@.
2.4. Premessa, quindi, la natura sostanzialmente stipulativa di ogni definizione di «diritto penale dell’economia», è però indubbio che il nucleo primigenio della materia sia stato storicamente costituito dai seppure oggi anacronistici reati di cui al richiamato Titolo VIII, Libro II del codice penale, nonché dai reati societari e fallimentari – ossia da quello che, sino a qualche tempo fa, veniva definito come «diritto penale commerciale» –, ai quali la modernità sembra suggerire di aggiungere, in ragione della rilevanza economica degli interessi sovraindividuali oggi in essi coinvolti, quanto meno gli illeciti in materia di intermediazione finanziaria.
Orbene, uno sguardo d’insieme alla “materia” così convenzionalmente perimetrata mostra come in essa, vuoi per la stessa struttura normativa di molti dei reati che la compongono, vuoi per la peculiare applicazione che di essi ha fatto la giurisprudenza, alcune fondamentali categorie concettuali del diritto penale liberale subiscano una significativa torsione applicativa@.
2.5. Per dimostrarlo, poche esemplificazioni saranno sufficienti.
Si pensi, in primo luogo, alla già ricordata elefantiasi degli eventi contemplati da alcune delle fattispecie incluse nel Titolo VIII, Libro II del codice penale, la quale, in mancanza di precipue leggi scientifico-economiche di spiegazione del nesso causale tra condotta ed accadimento offensivo, rischia di aumentare a dismisura la discrezionalità del giudice nella definizione del rapporto eziologico, nonché di mortificare l’utilità del principio nullum crimen sine iniuria.
In secondo luogo, va considerata la prevalenza che la tutela di «funzioni» amministrative ha assunto rispetto a quella dei veri e propri «beni» nel settore dei reati finanziari, la cui prevalente struttura – non a caso – è quella della clausola sanzionatoria dell’inosservanza di precetti aliunde collocati, qualche volta anche in patente violazione del principio di riserva di legge.
In terzo luogo, ed in conseguenza della natura prevalentemente accessoria – rispetto alla disciplina civile sottostante – dei reati finanziari e societari, nonché di certe forme di bancarotta, occorre evidenziare lo svilimento della funzione delimitativa della colpevolezza dolosa, non potendosi trascurare che, assumendo ivi in prevalenza rilievo condotte materialmente neutre, il cui disvalore è apprezzabile solo alla luce della normativa tecnica sottostante, il dolo vede svalutare le proprie e caratterizzanti componenti psicologiche effettive, tendendo a sfumare in un rimprovero di fatto colposo.
Infine, va tenuto conto dell’applicazione assai lasca che, probabilmente in ragione degli interessi coinvolti, nel settore dei reati societari e finanziari la giurisprudenza tende a fare del concorso omissivo di persone nel reato, apprezzabile sia nella definizione della posizione di garanzia, sia nella ricostruzione del dolo concorsuale, spesso processualmente esaurito, in presenza di meri “segnali d’allarme” di un possibile comportamento illecito altrui, nella presunzione probatoria del «non poteva non sapere».
Da ciò, e da altri numerosi esempi che si potrebbero portare, deriva l’impressione che il diritto penale economico (in senso stretto) presenti caratteristiche peculiari tali da poterlo considerare come uno dei “sottosistemi” che si estendono trasversalmente dal codice penale alle leggi extra codicem.
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