Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
Capitolo XI | Sottosistemi trasversali
1. Il contrasto della criminalità organizzata
di Dario Guidi
1.1. La “criminalità organizzata”, caratterizzata dalla stabilità del vincolo associativo e dall’organizzazione, ricomprende al suo interno le tre grandi species della criminalità politica, comune e di tipo mafioso.
In una prima fase, successiva all’emanazione del codice Rocco, il contrasto della criminalità organizzata si incentrava pressoché esclusivamente su alcune fattispecie associative collocate nella parte speciale di tale codice.
Inizialmente non era prevista una fattispecie incriminatrice ad hoc per le associazioni di tipo mafioso mentre erano (e sono tuttora) presenti numerose figure delittuose associative in materia di criminalità “politica” e una fattispecie incriminatrice dell’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati “comuni”. In particolare, nell’ambito delle norme dirette a contrastare la criminalità organizzata di indole “politica” vanno annoverati i delitti di cospirazione politica mediante accordo (art. 304 c.p.) e mediante associazione (art. 305 c.p.); banda armata (art. 306 c.p.); associazioni sovversive (art. 270 c.p.); associazioni antinazionali (art. 271 c.p.); associazioni internazionali illecite (artt. 273 e 274 c.p.). Gli artt. 271, 273 e 274 sono stati successivamente dichiarati incostituzionali, mentre l’art. 270 è stato incisivamente riformulato. Inoltre, come si dirà tra breve, sono state recentemente aggiunte nuove ipotesi criminose in materia di terrorismo.
1.2. Per reprimere la criminalità organizzata “comune” si è invece fatto ricorso per lungo tempo (fino all’introduzione del reato di associazione per delinquere di tipo mafioso nel 1982) esclusivamente alla fattispecie delittuosa di cui all’art. 416 c.p. (“associazione per delinquere”), che si configura «quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti».
Con l’introduzione di questa fattispecie il legislatore del 1930 si proponeva di apprestare uno strumento repressivo “ad ampio raggio”, suscettibile di contrastare la criminalità associata in tutte le sue possibili forme e modalità realizzative. Nondimeno, l’eccessiva selettività del dolo specifico (correlato alla commissione di “più delitti”) ha reso tale figura delittuosa sostanzialmente inidonea a colpire le più insidiose forme di manifestazione della criminalità organizzata, soprattutto in considerazione del fatto che le associazioni mafiose talvolta prescindono da un programma criminoso stricto sensu inteso, secondo la valenza data a questo elemento tipico dall’art. 416 c.p., affidando il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dal sodalizio criminoso alla forza intimidatrice del vincolo mafioso in quanto tale.
1.3. Negli anni ‘60 del secolo scorso si è aperta una seconda fase nella strategia di contrasto al crimine organizzato, in cui il nostro legislatore ha iniziato a far leva su istituti extra-codicistici, rafforzando in particolar modo la sfera della prevenzione ante delictum, che fino a quel momento era incentrata soltanto su figure di pericolosità sociale correlate alla criminalità comune.
1.4. Il punto di svolta, in tal senso, si fa risalire all’emanazione della l. n. 575 del 1965 (recante: “disposizioni contro la mafia”), che ha esteso l’applicazione delle tradizionali misure personali di prevenzione contemplate dalla l. n. 1423 del 1956, anche agli “indiziati di appartenere ad associazioni mafiose”, ampliando nel contempo i poteri di intervento dell’autorità giudiziaria in subiecta materia@.
Nasceva in quegli anni l’idea della strategia di contrasto al crimine organizzato articolata sul doppio fronte preventivo-repressivo, ma gli strumenti utilizzabili in tal senso erano ancora deficitari, soprattutto perché limitati alle sole misure di carattere personale. Pochi anni dopo, per far fronte alla situazione emergenziale venuta a determinarsi nel nostro Paese negli anni della cosiddetta “strategia della tensione”, la l. n. 152 del 1975 (legge “Reale”) introdusse alcune nuove categorie di destinatari delle misure di prevenzione personale, tutte riconducibili ad una particolare figura di soggetto pericoloso per la pubblica sicurezza (sub specie di “pericolosità politica”), ossia il c.d. “sovversivo”, integrando così il quadro delle misure di prevenzione anche con riferimento al fenomeno della criminalità associativa di natura politica@.
1.5. Infine, la l. n. 646 del 1982 (legge “Rognoni-La Torre”), ha inaugurato una “terza fase” nella strategia di contrasto alla criminalità organizzata, in cui si è assistito ad un generalizzato potenziamento della normativa antimafia sia sul fronte codicistico che su quello della legislazione extra-codicem. Tale legge ha reso più efficace l’attività di contrasto al fenomeno associativo-mafioso sotto un duplice profilo: da un lato, mediante l’inserimento nel codice penale del nuovo delitto di associazione di tipo mafioso di cui all’art. 416 bis, nella cui struttura lo “scopo di commettere più delitti” di cui all’art. 416 è stato soppiantato dall’individuazione espressa di un ventaglio di finalità più coerenti con il tipico modus operandi delle associazioni mafiose e incentrate sullo sfruttamento della forza di intimidazione del vincolo associativo (ad esempio la finalità di «acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici»); dall’altro lato, con l’introduzione nell’ambito del sistema delle misure di prevenzione ante delictum, per la prima volta nel nostro ordinamento, anche di misure di carattere patrimoniale, volte a contrastare l’illecita accumulazione di ricchezza da parte delle organizzazioni criminali (quali il sequestro e la confisca di prevenzione dei beni di sospetta provenienza).
1.6. La linea direttrice del “doppio fronte” di intervento ha ispirato un altro provvedimento-cardine nella complessa intelaiatura normativa della legislazione antimafia: si allude al d.l. n. 306 del 1992 (decreto “Scotti-Martelli”, convertito nella l. n. 356 del 1992), che ha rafforzato ed ampliato le misure di contrasto alla criminalità organizzata sotto vari aspetti.
Ai fini che qui interessano, i profili di maggior rilievo sono essenzialmente due: la modifica dell’art. 41-bis della l. n. 354 del 1975 (“ordinamento penitenziario”) con l’inserimento di un secondo comma che estende il regime detentivo c.d. del “carcere duro”, inizialmente previsto per i “casi eccezionali di rivolta” o per “altre situazioni di emergenza”, anche ai detenuti appartenenti alle associazioni di tipo mafioso (si consideri che oggi, quando si parla di regime carcerario ex art. 41-bis, si fa riferimento quasi esclusivo a quest’ultima ipotesi); l’introduzione nel codice penale del reato di “scambio elettorale politico-mafioso” di cui all’art. 416-ter (il cui testo è stato prima incisivamente riformulato dalla l. n. 62 del 2014 e poi modificato dalla l. n. 103 del 2017) che punisce chi accetta la promessa di procurare voti con le modalità mafiose di cui all’art. 416-bis in cambio dell’erogazione di denaro o di altre utilità.
1.7. Anche nel settore della criminalità associata “politica” vi sono stati rilevanti interventi di riforma della parte speciale del codice penale che hanno ridisegnato l’originario assetto di tutela in subiecta materia. Anzitutto, il d.l. n. 374 del 2001 (convertito, con modificazioni, nella l. n. 438 del 2001), oltre a riformulare completamente il testo dell’art. 270-bis c.p. (recante «associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico»), originariamente introdotto nell’ordinamento dal d.l. n. 625 del 1979 (convertito, con modificazioni, nella l. n. 15 del 1980), ha inserito nel codice penale la nuova fattispecie di “assistenza agli associati” (art. 270 ter). Successivamente, con il d.l. n. 144 del 2005 (convertito, con modificazioni, nella l. n. 155 del 2005), sono state introdotte nel codice penale due nuove figure delittuose, denominate, rispettivamente, «arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale» (art. 270-quater c.p.) e «addestramento ad attività di terrorismo anche internazionale» (art. 270-quinquies c.p.), nonché una norma definitoria delle «condotte con finalità di terrorismo» (art. 270-sexies).
Con il d.l. n. 7 del 2015, convertito con modificazioni nella l. n. 43 del 2015, è stato inserito in questo intricato mosaico normativo anti-terrorismo il reato di «organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo» (art. 270-quater.1). L’anno seguente si sono aggiunte le due fattispecie di «finanziamento di condotte con finalità di terrorismo» (270 quinquies.1) e di «sottrazione di beni sottoposti a sequestro» (270 quinquies.2), ad opera della l. n. 153 del 2016.
1.8. In questa terza fase si registrano anche due ulteriori interventi normativi sul versante della prevenzione ante delictum: ci si riferisce al d.l. n. 92 del 2008 (convertito, con modificazioni, nella l. n. 125 del 2008), che ha significativamente modificato l’assetto di disciplina delle misure di prevenzione, introducendo il principio generale secondo cui le misure di prevenzione patrimoniale possono essere richieste e applicate disgiuntamente dalle misure personali, anche in caso di morte del destinatario della proposta; e alla l. n. 94 del 2009, che, modificando l’art. 2-bis della già menzionata l. n. 575 del 1965, ha introdotto un altro importante e innovativo principio, in base al quale le misure di prevenzione patrimoniale possono essere richieste e applicate indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto al momento della richiesta della relativa misura.
Infine, va evidenziato che le disposizioni in materia di prevenzione ante delictum di cui abbiamo parlato sinora sono poi confluite in un testo unico, il c.d. “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione” (d.lgs. n. 159 del 2011), la cui emanazione si è resa necessaria per soddisfare pressanti esigenze di razionalizzazione sistematica in un campo di materia ormai caratterizzato da disorganicità ed eccessiva stratificazione normativa. Il Codice delle leggi antimafia ha così raccolto e riorganizzato all’interno di un corpus normativo unitario ed organico le numerose disposizioni che concorrevano a comporre il quadro complessivo della prevenzione ante delictum, confermando l’assetto di disciplina incentrato sulla bipartizione tra misure personali e misure patrimoniali e potenziando, tra le altre cose, il sistema di amministrazione, gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alle associazioni criminali di tipo mafioso.
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