Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
6. L’apparente contraddittorietà del “penale liberale”
6.1. L’espressione “giustizia penale liberale” può suonare ossimorica. I due aggettivi che la connotano hanno significati antitetici: il primo, “penale”, indica la funzione punitiva dello Stato, liberticida per definizione; il secondo, “liberale”, pone l’accento sulla sacralità dei diritti individuali su cui impatta, per l’appunto, la pena detentiva quale archetipo repressivo tuttora dominante.
Tra la dimensione funzionale del “penale” e l’ideologia punitiva “liberale” vi è un’indubbia tensione dialettica, ma anche un’evidente complementarietà. Il sostantivo “giustizia”, qui sinonimo di “diritto”, fa da calmiere, esprimendo l’ottimale bilanciamento tra l’immoralità necessaria del punire@ e il modo in cui il suo esercizio può essere legittimamente finalizzato alla tutela individuale e collettiva.
La “giustizia penale della libertà” incarna una precisa assiologia, imperniata sul primato del garantismo: l’azione repressiva viene vista principalmente dall’angolo visuale di chi la subisce, piuttosto che da quello difensivo delle istituzioni competenti a esercitarla.
6.2. La materia penale impone, ai blocchi di partenza, una scelta di campo: o si muove dai diritti di libertà sacrificati dalla pena o dal diritto alla tutela contro il crimine, ossia dalla potestà punitiva come prerogativa dell’autorità statale. Si tratta di un ineludibile bivio ideologico, che va affrontato con onestà intellettuale. I due piani sono destinati a intersecarsi successivamente, perché la mediazione tra il valore della persona punita e quello della tutela sociale è l’essenza del diritto penale; ma l’abbrivio non rimane indifferente, perché spiega la preferenza inerziale del sistema per una duplice parola d’ordine: favor libertatis e favor rei.
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