Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
6. Gli stupefacenti
di Gherardo Minicucci
6.1. Il fenomeno della cessione di sostanze stupefacenti, assieme alle altre condotte sanzionate nel D.P.R. n. 309 del 1990, rappresenta oggi una delle parti proporzionalmente più significative del contenzioso giudiziario. Si tratta di un sotto-sistema normativo che agglomera sia la disciplina della produzione e del commercio degli stupefacenti e dei medicinali equiparati, sia quella degli illeciti connessi e alcune peculiari disposizioni in tema di procedura e di misure alternative (titolo VIII).
È dunque chiara, anche in questo caso, la ragione per la quale la scelta del legislatore è stata nel senso di agganciare direttamente la tutela penale al corpo normativo di riferimento.
6.2. Il D.P.R. n. 309 del 1990 affronta il traffico e il consumo degli stupefacenti secondo un approccio lato sensu proibizionista, nel quale spiccano alcune caratteristiche di fondo: (i) la distinzione tra droghe “leggere” e “pesanti”, contenute in diverse tabelle che sono oggetto di un continuo aggiornamento da parte del ministero della salute; (ii) la previsione di un sistema di tutela “scalare”, che dalla fattispecie di uso personale, costituente un illecito amministrativo (art. 75), si snoda nella fattispecie di lieve entità (art. 73, comma 5), fino ai più gravi reati dei commi 1 e 4 dell’art. 73, rispettivamente relativi alle cc.dd. droghe pesanti e leggere.
Il sistema delineato è il frutto di plurimi interventi riformatori e di numerose sentenze costituzionali, che hanno inciso assai significativamente sul tessuto normativo del testo unico. Sul punto, occorre soprattutto ricordare la sentenza costituzionale n. 32/2014, con la quale il Giudice delle Leggi ha caducato i nova introdotti in sede conversione del d.l. n. 272 del 2005 (intervenuta con la l. n. 49 del 2006) per violazione dell’art. 77 Cost., in considerazione del “difetto di omogeneità, e quindi di nesso funzionale tra le disposizioni del decreto-legge e quelle impugnate, introdotte nella legge di conversione [… in rapporto di] evidente estraneità rispetto ai contenuti e alle finalità del decreto legge”@.
La riforma del 2006 marcava ulteriormente l’approccio proibizionistico del sistema, specialmente mediante l’equiparazione delle droghe “leggere” alle droghe “pesanti”, anche se con la parallela implementazione di misure volte al recupero del tossicodipendente, tra cui l’applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità nei casi di fatto lieve commesso da soggetto assuntore di sostanza stupefacenti (art. 73, commi 5-bis e 5-ter).
6.3. In conseguenza del rilevante intervento della Corte costituzionale, il legislatore ha poi ricomposto alcune aporie del sistema con il d.l. n. 36 del 2014, convertito con modificazioni nella l. n. 79 del 2014.
Il sistema di tutela si impernia su una nozione “legale” di stupefacente, che dipende dall’adozione del sistema tabellare, e che è essenzialmente rimessa, quanto alla sua perimetrazione concreta, ad un’attività normativa sub-legislativa da parte del ministero competente. L’art. 73, quindi, costituisce una fattispecie penale in bianco, nella quale la fonte extrapenale precisa l’oggetto materiale del reato, essendo capace di adeguarsi con grande rapidità al mutamento delle conoscenze e all’emergenza di nuovi principi attivi. Ad oggi sono previste cinque tabelle, che compendiano le droghe leggere e pesanti, le sostanze medicinali rispettivamente equiparate e, infine, i medicinali.
6.4. Un tema di grande interesse è l’individuazione del bene giuridico protetto dalle fattispecie di reato previste dal D.P.R. n. 309 del 1990.
Da un lato, si è sostenuto che l’art. 73 tutelerebbe il bene-salute, sia come interesse dell’individuo, quanto della collettività; dall’altro, si colgono, specialmente nella giurisprudenza@, posizioni che uniscono alla salute anche la protezione degli interessi sovraindividuali della sicurezza e dell’ordine pubblico@. Nondimeno, la più recente giurisprudenza, anche delle Sezioni Unite, sembra aver segnato un’inversione rispetto alla tendenza al riferimento ad oggetti di tutela “vaghi” o “sfumati”: più in particolare, si è affermato che sarebbe “superfluo il richiamo a concetti come la sicurezza, l’ordine pubblico o il mercato clandestino, che (…) appaiono declinati in forma eccessivamente generica perché privi di collegamento sufficientemente diretto con quello della salute”, e che quindi l’unico bene giuridico ravvisabile consisterebbe nella salute individuale e collettiva, qualificata all’art. 32 della Carta costituzionale come un diritto soggettivo del singolo@.
Se tale impostazione è certamente prossima alle fattispecie di cessione, acquisto, etc., tuttavia mal si presta alla lettura delle alternative modalità della condotta che sono individuate all’art. 73, tra cui, principalmente, quelle connesse alla produzione stessa degli stupefacenti, al trasporto, all’importazione/esportazione, etc. Peraltro, pur essendo certamente meno impalpabile della sicurezza o dell’ordine pubblico, v’è da dire che la salute collettiva sembra una vera e propria superfetazione di un bene che, anche laddove riferito a più persone, non può che essere concepito in chiave individuale@.
6.5. Passando ad una rassegna analitica delle fattispecie di maggior interesse – oltre all’art. 75, che, come detto, è un illecito amministrativo – le disposizioni da richiamare sono essenzialmente gli artt. 73, 74 e 80.
L’art. 73 costituisce il fulcro della tutela penale in tema di stupefacenti.
Il primo e il quarto comma, rispettivamente relativi alle cc.dd. droghe pesanti e leggere, condividono il presupposto fondamentale dell’assenza della prescritta autorizzazione alla gestione delle sostanze psicotrope (art. 17). Si tratta, in entrambi i casi, di norme a più fattispecie, tutte di mera condotta, le quali puniscono il fatto della coltivazione; della produzione, estrazione, fabbricazione, raffinazione; dell’offerta o della messa in vendita; del procurare, commerciare o trasportare; del consegnare, distribuire o inviare; del passare o spedire in transito; del vendere o del cedere, dell’acquisto e della detenzione per uso non personale (dunque al di fuori delle ipotesi contemplate nell’art. 75). Si tratta, a tutta evidenza, di una precisa scelta legislativa, con la quale si è inteso non lasciare alcuno spazio vuoto nella repressione del traffico degli stupefacenti. I commi 2 e 3, invece, individuano fattispecie autonome di reato proprie dei soggetti autorizzati, punendo le condotte anzidette con pene più severe.
Il quinto comma, come si è anticipato, oggi prevede una fattispecie autonoma di reato attenuata per tutti i casi in cui il fatto sia di “lieve entità”, a prescindere dal tipo di sostanza oggetto della condotta. Il giudizio circa l’entità deve essere condotto secondo molteplici indici, tenuto conto delle circostanze concrete del fatto. Merita segnalare, sul punto, che la pluralità di sostanze, in quanto tale, è stata ritenuta insufficiente a fondare il passaggio dalla fattispecie in discorso a quella ordinaria (comma 1 o comma 4, ovvero entrambi)@.
6.6. Una seconda disposizione di grande interesse è l’art. 74, che vieta l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Si tratta di una fattispecie punita assai gravemente, che, come accade in tutti i reati associativi, distingue la posizione dei promotori, dei costitutori, degli organizzatori e dei finanziatori da quella del partecipe, sanzionato con una pena più mite (comma 2). È interessante notare, al di là del corredo di circostanze speciali che corredano la norma incriminatrice, che l’associazione finalizzata al compimento di fatti di lieve entità (art. 73, comma 5) è sanzionata mediante un rinvio al delitto di associazione per delinquere “semplice” (art. 416 c.p.).
6.7. Chiude questo micro-sistema l’art. 80, che prevede una nutrita serie di aggravanti specifiche per i delitti previsti dall’art. 73.
Più in particolare, esse riguardano il coinvolgimento di persone minorenni o comunque incapaci, ovvero di tossicodipendenti (anche con lo scopo di ottenere da parte loro prestazioni sessuali); l’impiego di armi e il c.d. travisamento; l’adulterazione o la commistione degli stupefacenti con altre sostanze che ne accentuino la potenzialità lesiva; il compimento del fatto in particolari luoghi in cui il traffico di stupefacenti può rivelarsi di maggior gravità concreta (scuole, comunità, caserme, carceri, ospedali, strutture riabilitative).
6.8. Infine, al secondo comma, l’art. 80 prevede un’aggravante ad effetto speciale – con aumento della pena dalla metà a due terzi – per il caso in cui il fatto riguardi “quantità ingenti” di sostanze stupefacenti. La fattispecie in discorso, pur periferica, costituisce nondimeno un osservatorio privilegiato sul c.d. diritto penale giurisprudenziale e sui confini dell’interpretazione della norma penale, circa i quali si rinvia alla trattazione dedicata.
È ben evidente, infatti, che la locuzione “ingente quantità” rappresenta un elemento particolarmente elastico, e dunque esposto a possibili censure in tema di violazione del principio di tassatività-determinatezza e del principio di uguaglianza, nonché – in estremo – dello stesso diritto di difesa. La giurisprudenza di legittimità, del tutto consapevole dei profili critici anzidetti, oltre che del rischio di una applicazione disomogenea della fattispecie, ha progressivamente tipizzato il contenuto dell’ingente quantità, sostituendosi in tutto e per tutto – pur assecondando ragioni condivisibili – al legislatore.
Le Sezioni Unite, investite della questione, hanno superato il criterio della “eccezionalità” delle transazioni illecite, adottato in un primo momento, per giungere alla definizione di una grandezza numerica da sostituire alla generica clausola dell’art. 80, comma 2. In questa prospettiva, hanno stabilito che i valori-soglia delle dosi medie giornaliere – individuati dal ministero con riguardo a ciascuno stupefacente – siano un necessario punto di riferimento quale base per la determinazione della ingente quantità, concludendo nel senso che l’aggravante in esame non sarebbe ravvisabile quando la quantità dello stupefacente sia inferiore a 2.000 volte il valore-soglia, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito quando tale quantità sia in concreto superata@.
Il mutamento, poi, del quadro normativo a seguito dell’intervento della Corte costituzionale e del legislatore ha imposto alla Suprema Corte di tornare su queste asserzioni, specialmente in considerazione della riemersione della distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti: le Sezioni Unite, in una recente pronuncia, hanno quindi sottolineato che, nonostante gli stravolgimenti della materia, il concetto di “ingente quantità” resta necessariamente ancorato ai c.d. valori-soglia, tuttavia precisando che, con riferimento alle droghe leggere, il “moltiplicatore” debba essere rivisto verso l’alto, fissandolo in 4.000 volte il valore-soglia di riferimento@.
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