testi ed ipertesti

Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta

4. La crisi d’impresa

di Gherardo Minicucci

 

 4.1. La crisi d’impresa costituisce un altro settore di grandissimo interesse nel panorama del diritto penale extra codicem. La fonte di riferimento è il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. n. 14 del 2019), il quale – dal 15 luglio 2022, quando è entrato in vigore dopo una lunga vacatio legis – ha soppiantato la “legge fallimentare” (r.d. n. 267 del 1942) quale corpo normativo organico regolatore delle procedure concorsuali, nell’ambito delle quali, mediante una esecuzione collettiva, si intende assicurare al meglio la soddisfazione dei creditori e a garantire la loro par condicio.

 Tale obiettivo è generalmente perseguito mediante lo spossessamento del debitore e l’avvio di una gestione coattiva che si attua nel più ampio quadro di un procedimento giurisdizionale, pur con alcune peculiarità di indubbia rilevanza. È proprio questo insieme di particolarità che ha dato luogo ad una tutela penale più complessa e più severa rispetto a quella apprestata con riguardo alle procedure di esecuzione dei creditori singolarmente intesi (tradizionalmente affidata agli artt. 388 e 388-bis c.p.).

 4.2. L’apparato penalistico del Codice della crisi è raccolto nel titolo IX della parte prima, a sua volta diviso in cinque capi.

 Il primo capo (Reati commessi dall’imprenditore in liquidazione giudiziale) contempla le più significative incriminazioni, ovverosia i delitti di bancarotta fraudolenta e semplice (artt. 322 e 323), il ricorso abusivo al credito (art. 325) e la denuncia di creditori inesistenti (art. 327), nonché la disciplina delle circostanze speciali (art. 326), oltre alla disposizione estensiva che punisce le medesime condotte laddove realizzate da soci illimitatamente responsabili nelle società in nome collettivo e in accomandita semplice (art. 328).

 La progressiva valorizzazione di istituti alternativi al fallimento ha indotto il legislatore, già nel 2010, a prevedere una serie di ipotesi di esenzione dai reati di bancarotta, confluita nell’odierno art. 324. Tale norma rappresenta l’essenziale collegamento tra i predetti strumenti di risoluzione della crisi e le disposizioni penali, in considerazione del fatto che, in caso di insuccesso, le operazioni e i pagamenti effettuati dall’imprenditore ben avrebbero potuto essere in astratto sussunti sotto le fattispecie di bancarotta.

 4.3. È opportuno notare che tali delitti, pur costituendo l’architrave del sistema di tutela, sono ancora modellati come reati propri dell’imprenditore individuale, e che quindi la presenza di un’impresa in forma societaria impedirebbe, a rigore, la loro applicazione. Da qui la necessità di un doppio regime di clausole estensive: da un lato, riferibili alle procedure concorsuali diverse dalla liquidazione giudiziale (su tutte il concordato preventivo), non richiamate dalle fattispecie-base; dall’altro, relative alle ipotesi di bancarotta “impropria”, ovverosia realizzata dagli amministratori, dai direttori generali, dai sindaci o dai liquidatori di società (artt. 329 e 330), nonché dagli institori (art. 333).

 Queste ultime disposizioni aprono il secondo capo (Reati commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale), nel quale trovano collocazione anche i reati del curatore e dei suoi coadiutori (artt. 334-337) e i reati dei creditori o di persone comunque estranee al fallimento (artt. 338-340).

 4.4. Le norme del terzo capo (Disposizioni applicabili nel caso di concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani attestati e liquidazione coatta amministrativa), consentono appunto l’estensione delle fattispecie incriminatrici anzidette agli altri strumenti del diritto concorsuale (nonché alla liquidazione coatta amministrativa: art. 343), prevedendo anche alcune ipotesi di reato specifiche (art. 341). In considerazione del particolare rilievo assunto, nell’ambito di dette procedure, dalle relazioni o attestazioni rese da professionisti, il legislatore ha previsto una specifica ipotesi di reato a tutela della veridicità e della completezza delle medesime (art. 342).

 4.5. Il quarto capo (Reati commessi nelle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento) ha un oggetto parzialmente diverso, poiché relativo a procedure pensate per debitori “comuni”, non esercitanti l’attività di impresa.

 Da ultimo, il quinto capo del titolo IX contiene le disposizioni di procedura (artt. 346 ss.), da leggere in uno con le disposizioni degli artt. 317 ss., dedicate al delicato rapporto tra liquidazione giudiziale e misure cautelari penali.

 4.6. Com’è intuibile, le fattispecie penali appena descritte sono largamente debitrici rispetto all’impianto civilistico-commerciale di riferimento, che rappresenta un presupposto normativo e interpretativo del tutto imprescindibile. Pur risultando opportuna la scelta legislativa di lasciarle al di fuori del codice penale, in stretto contatto con la disciplina di dettaglio, ciò comporta un duplice ordine di effetti.

 In primo luogo, la “lontananza” dal codice ha contribuito alla formulazione di precetti dallo scarso pregio tecnico, caratterizzati dall’abuso del sistema casistico e dal frequente impiego del rinvio a catena, soprattutto in relazione alle norme in tema di estensione della punibilità. Tali criticità affondano le loro radici nella sostanziale identificazione della bancarotta col fallimento, come è dimostrato proprio dall’empirismo casistico – tipico dell’ambito della prova – che innerva le fattispecie incriminatrici, nelle quali, peraltro, «si mescolano, in pittoresco disordine, elementi di responsabilità oggettiva e contravvenzionale con elementi di indubbia rilevanza delittuosa a titolo di frode»@.

 In secondo luogo, il rapporto biunivoco tra le disposizioni civili e quelle penali comporta che la modificazione delle prime dia luogo – o possa dar luogo – a conseguenze interpretative non compiutamente predeterminabili ex ante.

 4.7. Se la legge fallimentare era nata nel segno della accentuazione del carattere afflittivo della procedura – la cui natura era puramente “pubblica”, in vista dell’accreditamento di un archetipo “palingenetico” dell’economia nazionale, legato all’emarginazione degli agenti meno competitivi – il modello recato dal Codice della crisi è assai diverso, contemperando molteplici interessi meritevoli di protezione: la libertà di iniziativa economica; l’interesse alla conservazione del valore dell’impresa; la salvaguardia dei livelli occupazionali; la protezione delle imprese con partecipazione pubblica.

 L’evoluzione normativa che ha condotto alla riforma sistematica delle procedure concorsuali, in definitiva, ha preso atto che la “crisi” è l’antefatto dell’insolvenza e che essa riviste un ruolo chiave in tutte le forme di risoluzione anticipata e concordata del debito, specialmente in vista della continuità dell’impresa. L’introduzione del Codice della crisi, al termine – almeno momentaneo – di questa evoluzione, ha segnato alcune decisivi mutamenti, tra cui spicca l’eliminazione lessicale del termine ‘fallimento’, in ogni sua variante. Al suo posto compare la ‘liquidazione giudiziale’ – termine assai lontano dalla storia della concorsualità e riecheggiante gli ambiti tipici del diritto societario – impiegata nell’intento di oggettivare la crisi, trasformandola da una connotazione (negativa) dell’imprenditore ad un difetto dell’impresa.

 4.8. È da notare che, in questo percorso evolutivo, i reati concorsuali non sono mai entrati in un effettivo percorso di riforma, venendo solo in parte toccati da interventi marginali (salve le introduzioni degli odierni artt. 324 e 342). Si è creato, così, uno iato profondissimo tra le disposizioni incriminatrici e il loro quadro normativo di riferimento. Anche in occasione del varo del Codice della crisi, il legislatore ha esplicitamente rinunciato a delineare un nuovo sistema penale di corredo, che resta quindi del tutto sovrapponibile a quello disegnato, in un contesto socio-economico totalmente diverso, dal legislatore del 1942. Al netto delle non marginali questioni poste dal raccordo tra il nuovo codice e le fattispecie incriminatrici, il punto di maggiore interesse concerne i riflessi che, a prescindere dalla formulazione testuale degli illeciti, si dovranno produrre sul piano interpretativo. Infatti, nonostante l’identità – reale o apparente – delle fattispecie penali, il complessivo mutamento del sistema imporrà di misurarsi con i suoi effetti indiretti@.

 

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