testi ed ipertesti

Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta

3. Il diritto penale dell’intermediazione finanziaria

di Gianfranco Martiello

 

 3.1. Un ulteriore settore di intervento della pena sin dall’inizio decodificato, e nondimeno rilevante dal punto di vista pratico, è senz’altro quello costituito dal c.d. «diritto penale dei mercati finanziari» o della «intermediazione finanziaria».

 Invero, poche parole sono sufficienti per ricordare quanto importante sia oggi divenuta la “finanza” per le moderne economie di mercato, non a caso correntemente definite come post industriali. Se, difatti, sino a non moltissimi anni fa queste ultime erano fondamentalmente sospinte dai tradizionali comparti della produzione industriale e della produzione agricola, con i servizi accessori forniti dal settore terziario, oggi è difficile disconoscere il ruolo sempre più significativo svolto dai mercati finanziari nella produzione della ricchezza, che ha così assunto una dinamicità senza precedenti.

 Non è certo un caso, allora, che da più parti si parli ormai dell’avvenuta “finanziarizzazione” dell’economia, volendo con ciò alludere a quella attuale fase del capitalismo mondiale nella quale il peso della speculazione finanziaria in seno alle economie di mercato avrebbe raggiunto valori assolutamente importanti, spesso superiori a quelli dei comparti tradizionali.

 Non stupisce, perciò, che praticamente tutti gli Stati abbiano da tempo regolamentato lo scambio degli strumenti finanziari, creando per essi appositi «mercati», da intendersi come loci giuridici nei quali tali operazioni potessero svolgersi in modo ordinato e protetto. In Italia, a tale esigenza ha dato risposta, nel tempo, una serie di provvedimenti legislativi ad hoc, quasi tutti contenenti fattispecie incriminatrici strutturate, secondo la già richiamata tendenza della disciplina extracodicistica, sul modello della clausola sanzionatoria della violazione di precipue disposizioni della normativa civilistica retrostante (v. retro, § 2).

 A tale riguardo, ed in prospettiva storico-evolutiva, si pensi all’art. 55 l. n. 272 del 1913, recante l’ordinamento delle «Borse di commercio»@; agli artt. 5-quinquies e 18, ultimo comma, l. n. 216 del 1974@, che regolamentava organicamente le società quotate ed istituiva la Consob; all’art. 14 l. n. 1 del 1991@, di riordino dei mercati mobiliari; all’art. 2, commi 5 e 6, l. n. 157 del 1991@, repressiva delle pratiche di Insider trading, ecc.

 3.2. Ad oggi, la disciplina dei mercati finanziari è contenuta in un unico ed organico corpo normativo, ossia il d.lgs. n. 58 del 1998, recante il «Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria» (d’ora innanzi: Tuf), che può considerarsi il “punto di arrivo” della disciplina nazionale in materia: “punto di arrivo” – beninteso – solo quanto a sedes materiae, posto che esso è risultato e risulta ancora oggi soggetto a frequenti modifiche, spesso imposte dalle necessità di adeguamento interno alla normativa comunitaria, che in questo ambito persegue con forza l’obbiettivo di uniformare quanto più possibile le legislazioni degli Stati membri, considerato il carattere transnazionale che le operazioni sui mercati finanziari frequentemente assumono.

 L’addenda penale prevista dal Tuf, contenuta precipuamente nei Titoli I e I-bis della sua Parte V (artt. 166 ss.), ha in buona misura conservato la richiamata “struttura sanzionatoria” della previgente disciplina, pur presentando elementi di indubbia sofisticazione che, rispetto al passato, la rendono formalmente meno appiattita sulla regolamentazione civile sottostante, che tuttavia, come si chiarirà, rimane di imprescindibile rilevanza. Le ragioni della conservazione alle fattispecie del Tuf di una tale architettura debbono peraltro ritenersi in buona parte necessitate dalla natura dello stesso bene giuridico protetto. Ed invero, sebbene non sia mancato in dottrina il tentativo di rinvenire il denominatore comune all’intero plesso del diritto penale dei mercati finanziari nella diretta protezione di beni macroeconomici ad amplissimo spettro, e di chiara connotazione pubblicistica, quali il «risparmio collettivo» o la «economia pubblica», ben altre risultano, oggi, le ricostruzioni più accreditate in materia.

 In effetti, è agevole constatare come soltanto una minuta parte delle condotte criminose tipizzate nel Tuf appaiano idonee ad attingere direttamente beni giuridici di così ampia portata come il «risparmio», la «economia pubblica» od il «mercato finanziario» nel suo complesso, che rimangono ben appartate sullo sfondo della tutela. Al contrario, all’interno del Tuf risultano del tutto prevalenti quelle figure di reato che presidiano il rispetto di alcune regole di natura extrapenale che sovraintendono lato sensu al buon funzionamento del mercato finanziario, e ciò non certo casualmente.

 Ed invero, non è difficile rilevare come il risparmio investito in prodotti finanziari si connoti per un tasso di rischio del tutto fisiologico, in quanto legato alla natura intrinsecamente incerta degli andamenti dei listini di borsa.

 3.3. Escluso, quindi, che il diritto penale possa mirare all’azzeramento di una tale alea, suo compito non potrebbe che essere quello di impedire l’insorgenza di un rischio “anomalo”, in quanto trascendente quello socialmente ammesso, la cui area risulta delimitata da alcune «regole del gioco», ossia proprio da quelle norme comportamentali extrapenali imposte agli operatori che mirano, vuoi a mantenere la credibilità e l’affidabilità patrimoniale di questi ultimi, vuoi all’espletamento dell’attività di vigilanza sugli stessi da parte dei soggetti preposti, vuoi a garantire la parità di accesso alle informazioni da parte di coloro che agiscono nel mercato, e via dicendo. Tali interessi, difatti, costituirebbero altrettanti «beni intermedi» funzionali alla tutela ultima delle ragioni economiche degli investitori e degli stessi operatori finanziari, riportabile al cono di tutela proiettato dagli artt. 47 e 117, comma 2, lett. e), Cost.

 In breve: in questo ambito, il diritto penale non tutelerebbe in via immediata e diretta il (macro-)bene del risparmio collettivo o individuale, ma sarebbe chiamato a presidiare quelle forme organizzative e tecnico-operative del mercato finanziario che mirano ad evitare che le risorse che vi circolano vengano esposte ad una rischiosità anomala, e ciò secondo quel sistema di sostanziale “delega” alla P.A., o comunque alla disciplina civile, della composizione degli interessi contrapposti alla quale si è fatto già riferimento quale principale causa della c.d. «decodificazione» del diritto penale.

 3.4. Del resto, già da tempo è stato chiarito che, laddove si reclami la protezione penale di beni superindividuali ad ampio spettro, la tutela deve tendere – pena la sua pratica inefficacia – ad assumere forme del tutto peculiari rispetto a quelle più tradizionali imperniate sulla previsione di eventi di danno o sulla creazione di situazioni di pericolo concreto per tali beni, la cui prova in giudizio risulterebbe oltremodo gravosa.

 D’altra parte, la realtà dimostra come le più subdole aggressioni a tali beni provengano o da comportamenti prodromici alla produzione di un evento di danno o di pericolo concreto, ovvero da condotte che, singolarmente considerate, costituiscono mere “microlesioni” dei beni in questioni, i quali possono essere effettivamente pregiudicati soltanto da una ripetizione scalare, e ripetuta nel tempo, di tali comportamenti.

 Da qui, la teorizzazione di specifici modelli di tutela penale anticipata, non a caso largamente impiegati dal legislatore all’interno del Tuf, che possono esemplificarsi nei due fondamentali paradigmi@: a) della norma il cui precetto rinvia ad una disciplina amministrativa generale ed astratta che impone il possesso di certi requisiti e/o l’adozione di determinate modalità operative per l’esercizio di una determinata attività, la cui violazione viene stigmatizzata con la previsione di una pena; b) della norma il cui precetto rinvia a provvedimenti individuali e concreti emessi da una determinata autorità amministrativa, i quali impongono specifiche cautele o l’osservanza di determinate prescrizioni per l’esercizio di una certa attività, la cui infrazione viene repressa con la sanzione penale, secondo il c.d. «modello ingiunzionale».

 Ne risulta che l’offesa arrecata dal fatto tipico al bene finale – la cui protezione costituisce lo scopo ultimo della norma incriminatrice – viene di fatto surrogata dall’offesa a beni «intermedi» e/o «strumentali», incarnati dalle “regole del gioco” di cui si diceva, la cui salvaguardia costituisce una sorta di “barriera antemuraria” rispetto alla lesione del bene finale. Vero ciò, non è difficile comprendere come il diritto punitivo dei mercati finanziari costituisca uno dei più tipici terreni operativi dei «reati ad offesa funzionale», e quindi ben possa annoverarsi tra quei non pochi comparti normativi quali il legislatore ha di fatto attestato la rilevanza penale della condotta sulla soglia del pericolo astratto.

  3.5. La intrinseca “dipendenza” del diritto penale dei mercati finanziari dalla normativa civile retrostante è del resto osservabile anche sotto il diverso, ma convergente profilo della tecnica redazionale impiegata dal legislatore per confezionare le disposizioni incriminatrici in materia. Ed invero, è sufficiente anche una sommaria rassegna delle fattispecie penali contemplate dagli artt. 166 ss. Tuf per accorgersi che queste ultime risultano legate alla normativa extrapenale di settore non solo sotto il già ricordato versante della individuazione degli interessi sostanziali protetti, e quindi della tecnica di tutela che esse inverano, ma anche sotto quello della definizione del loro stesso precetto sanzionatorio.

 Praticamente tutte le fattispecie qui in rilievo, difatti, presentano al loro interno uno o più «elementi normativi», per la cui comprensione l’interprete non può che guardare – per l’appunto – proprio alla normativa civile di settore, come dimostrano, a tacer d’altro, i richiami ai vari concetti di «strumento finanziario», di «servizio o attività di investimento», di «gestione collettiva del risparmio», di «servizio di gestione di portafogli», di «informazione privilegiata», dei quali esse sono in abbondanza ricche. Ennesima riprova, questa, della difficoltà pratica di collocare entro il codice penale fattispecie così intensamente legate a normative settoriali extrapenali.

 

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