testi ed ipertesti

Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta

3. Cosa è nata prima?

 

3.1. La priorità sistematica della parte generale non equivale alla sua primogenitura storica. In realtà la parte generale nasce per astrazione dalla parte speciale, o meglio da un suo ristretto ma importante segmento.

 Il riferimento è alle incriminazioni che tipizzano i reati c.d. di sangue, come le fattispecie di omicidio, che rappresentano storicamente il terreno nel quale si sono sviluppate le fondamentali categorie della parte generale, la cui validità, per l’appunto “generale”, è stata consacrata con il trasferimento della loro disciplina nella prima parte del codice penale.

 Il confronto con il dato normativo può aiutare a comprendere. L’art. 575 c.p., rubricato “Omicidio”, prevede una fattispecie che si caratterizza per essere descritta in modo estremamente sintetico: “Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”. Poche sillabe in più caratterizza la descrizione dell’omicidio colposo: “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni” (art. 589 c.p.).

 3.2. A ben vedere questa sintesi descrittiva richiama una insospettata moltitudine di istituti di parte generale, che meritano di essere ricordati.

 A) Le fattispecie di omicidio non descrivono la condotta in termini naturalistici, come avviene in altre fattispecie incriminatrici (si pensi al furto, di cui all’art. 624 c.p. che punisce “Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri”). La condotta dell’omicidio è tipica in ragione della sua efficacia a causare l’evento, ossia la morte di un uomo. Siamo in presenza, dunque, di una figura di reato a forma libera, come ebbe a definirla, con terminologia mutuata dalla teoria del negozio giuridico, Francesco Carnelutti@. Per dirla con il linguaggio penalistico, le fattispecie di omicidio sono causalmente orientate. Ciò significa che questi reati impongono l’accertamento del nesso di causalità tra azione ed evento, quale elemento da cui dipende la tipicità del delitto di omicidio. Nel codice Zanardelli, infatti, la disciplina del concorso di cause era collocata tra le norme in materia di omicidio, anche se differiva, in certa misura. da quella odierna (gli artt. 367 e 368, comma 2@, attribuivano alla presenza delle concause una rilevanza non già interruttiva del nesso di causalità, ma semplicemente attenuante della responsabilità).
L’accertamento della causalità riguarda solo alcune fattispecie incriminatrici (si pensi anche alle lesioni personali). Nondimeno, per ragioni di economia normativa, l’istituto della causalità è disciplinato, oggi, una volta per tutte, nella parte generale del codice penale, e precisamente agli artt. 40 e 41. Sempre secondo le regole generali, le fattispecie causalmente orientate possono commettersi con omissione, alle condizioni indicate, anche in questo caso una volta per tutte, nell’art. 40, comma 2, c.p.).

 B) E ancora: l’omicidio assume rilevanza nell’ambito di distinte fattispecie incriminatrici, imputabili a titolo di dolo, colpa, o preterintenzione. Altre ipotesi di reato, come, per esempio, le lesioni personali, possono essere dolose o colpose. La gran parte dei reati, invece, è prevista nella sola forma dolosa, se non è diversamente stabilito (art. 42, comma 2, c.p.). Orbene, la disciplina dell’elemento soggettivo, originariamente collocata nella parte speciale dai primi codici ottocenteschi, più precisamente a margine delle fattispecie di omicidio e lesioni personali (cfr. gli artt. 107, 124, 128, 138 e 139 del codice penale Toscano@), è contenuta oggi nella parte generale. Si pensi alle definizioni previste all’art. 43 c.p. e agli istituti, tra gli altri, della c.d. suitas della condotta (art. 42 c.p.) e dell’errore di fatto quale fattore di esclusione del dolo (art. 47 c.p.). Con riferimento alla definizione legislativa di colpa, si può osservare come essa fosse originariamente contenuta nelle norme dedicate all’omicidio e alle lesioni personali, ancorché tale definizione, di regola, valesse anche per altre ipotesi di reato colposo. È quanto avveniva nel codice penale di Parma, Piacenza e Guastalla del 1820 (art. 349@), nel codice penale Sardo del 1865 (artt. 554 e 555@) e nello stesso codice Zanardelli (artt. 371 e 375@).

 C) Ma non è tutto. Anche le scriminanti sono germogliate intorno alla figura dell’omicidio (e degli altri delitti di sangue). Pertanto, esse erano originariamente contenute nella parte speciale, come dimostra, per esempio, il codice penale parmense, che agli artt. 355-357@ prevedeva l’adempimento del dovere, la legittima difesa e lo stato di necessità, quale disciplina a latere delle fattispecie di omicidio e lesioni personali. 

 In breve: molte norme di “parte generale” completavano la descrizione e la disciplina dei delitti di sangue. Dalla loro attuale presenza nella parte generale discende l’applicabilità a un numero indeterminato di reati.

 3.3. Se si guarda all’evoluzione storica dei codici penali, si colgono agevolmente le ragioni della progressiva e costante crescita della parte generale. Le nostre prime codificazioni ottocentesche si caratterizzavano per la presenza di una parte generale ancora poco sviluppata. Ne è un indizio il numero degli articoli ad essa dedicati: la parte generale del codice toscano constava di 95 articoli, quella del codice parmense di 98 articoli, quella infine del codice Zanardelli di 103 articoli, a fronte dei 240 articoli della parte generale del codice Rocco, sulla cui ampiezza, però, influiva anche la nota (e spesso criticata) propensione del nostro codificatore del 1930 per le definizioni legislative e il carattere estremamente analitico della disciplina. Va tenuto presente, infatti, che il numero degli articoli è un elemento solo indicativo della crescita della parte generale, dato che al suo sviluppo contribuisce in modo considerevole l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.

 Si comprende al contempo come la progressiva crescita della parte generale abbia comportato una speculare scarnificazione degli enunciati normativi di parte speciale. Questi ultimi contengono oggi la descrizione essenziale di ciascun fatto punito, ossia gli elementi che consentono di differenziarlo dai comportamenti leciti e dagli altri reati; cui si aggiunge l’indicazione della cornice sanzionatoria prevista. Alla norma di parte speciale, dunque, non compete la descrizione esaustiva e completa del fatto punito: essa tipizza i soli profili espressivi della sua specificità tipologica, ossia della sua differentia specifica rispetto agli altri illeciti penali; la sua collocazione sistematica ne rivela invece il genus proximum, soprattutto nell’ambito delle legislazioni organiche, qual è, tradizionalmente, il codice penale.

 Data la stretta interdipendenza funzionale tra parte generale e parte speciale, quali componenti di quell’unicum che è la normazione penale, appare chiaro che più aumenta la completezza della parte generale, più sono omogenei i princìpi ispiratori che governano l’appli­cazione delle norme di parte speciale; con la conseguenza di garantire tendenzialmente a tutti i reati l’operatività dei fondamentali principi di garanzia del diritto penale. Diversamente, quando la parte speciale introduce deroghe alla disciplina generale (si pensi, ad esempio, alle limitazioni al bilanciamento delle circostanze previste dagli artt. 280, comma 5, 280-bis, comma 5, 289-bis, comma 5, 590-quater, 628, comma 5, e 630, comma 6, c.p.) (v. infra, cap. XII, § 3), la disuguaglianza di trattamento che ne deriva dovrà essere attentamente valutata sotto il profilo della sua ragionevolezza politico-criminale.

 

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