testi ed ipertesti

Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta

Capitolo VII | La “parte speciale”

di Fausto Giunta

 

1. “Parte generale” e “parte speciale”

 

 1.1. Secondo una diffusa e condivisibile definizione, per “parte speciale” del diritto penale si intende il catalogo (o, se si preferisce, l’elenco) dei fatti costituenti reato e delle rispettive cornici sanzionatorie.

 Assai più della denominazione, è la sua spiegazione che rende il concetto comprensibile.

 L’espressione “parte speciale”, infatti, è un’etichetta che non dice nulla dei contenuti normativi cui si riferisce. Anzi complica le cose, in quanto l’aggettivo “speciale”, evocando l’alterità del suo oggetto rispetto a un’altra “parte” del diritto penale, detta “generale”, rimanda ad essa per coglierne i tratti differenziali. Senza contare che definire la “parte generale” è ancora più difficile, perché i suoi contenuti sono eterogenei. Per rimanere ad alcuni degli istituti in essa compresi, cosa hanno in comune il tentativo e le pene accessorie o il delitto preterintenzionale e la confisca? Scavando, il nesso si coglie, ma non affiora certo nell’aggettivazione di questo settore normativo come “generale”.

 Ancora: nel diritto penale il concetto di specialità è tutt’altro che univoco. Il codice penale parla espressamente di leggi penali speciali agli artt. 15 e 16, facendo riferimento a fenomeni tra loro diversi. E precisamente: la prima disposizione, ossia l’art. 15 c.p., disciplina il concorso apparente di norme, che viene risolto con l’applicazione della legge speciale in deroga a quella “generale” (l’aggettivo “generale” connota qui la disciplina di portata più ampia, come tale comprensiva di quella speciale). L’art. 16 c.p., invece, fa riferimento alle leggi extra codicem, disponendo che ad esse cui si applichino i principi della “parte generale”.

 Detto con altre parole, la distinzione tra “parte generale” e “parte speciale” del diritto penale non è affatto univoca e intuitiva. Essa riflette, a tutta prima, il criterio in base al quale il diritto penale è organizzato dal punto di vista normativo. Per questa ragione, la distinzione può apparire convenzionale e meramente sistematica, se non la si cala in una ben precisa cornice storica: quella del processo di codificazione penale, quale fenomeno che connota, nell’Europa continentale, l’esperienza giuridica dell’età moderna. Il tramonto del diritto dell’ancien régime porta con sé l’affermazione di un nuovo attore nella produzione del diritto penale, qual è il Legislatore, identificato nel Parlamento. Il diritto penale sostanziale assume un ruolo preminente, perché definisce l’oggetto del processo.

 1.2. Esemplificativa di questo fenomeno è l’origine processuale della più importante categoria della dogmatica moderna, ossia quella del Tatbestand. Essa, secondo note ricostruzioni storiche, deriverebbe dalla nozione di corpus delicti (per esempio il cadavere della vittima nell’omicidio), la cui funzione era quella di perimetrare l’inquisitio generalis, quale fase del processo finalizzata ad accertare il reato come accadimento naturalistico, accertato il quale poteva procedersi all’inquisitio specialis, essenzialmente finalizzata a far luce sull’autore del reato. Nel Medioevo era la categoria del corpus delicti che conteneva lo straordinario potere dell’inquisitore.

 Ebbene, il declino dell’inquisitio generalis è segnato storicamente dal sopraggiungere, con l’Illuminismo, del principio di legalità, che descrivendo in astratto e in modo tassativo le tipologie di reato, ha inteso mandare in soffitta, con l’inquisitio generalis, anche il corpus deliciti, la cui funzione delimitativa è stata assunta per l’appunto dal c.d. fatto tipico (Tatbestand)@. Il passaggio non è nominalistico, perché muta la prospettiva: il corpus iuris è espressione di una visione empirica del reato; la tipicità è pura forma.

 Nella modernità la legalità sostanziale è l’àncora cui è ormeggiato il processo, contro il rischio di derive punitive incontrollate. Il processo penale diventa così lo “strumento dello strumento, cioè del diritto sostanziale”, che “riverbera sul processo le medesime funzioni di garanzia di legalità e libertà”@.

 La codificazione, infatti, non solo quella penale, sottende una precisa concezione del diritto, che viene inteso, in linea di partenza, come lex scripta, chiara, precisa e ordinata, accessibile ai cittadini, prima ancora che ai giudici, perché espressa attraverso il linguaggio comune. Questa aspirazione, che è fatta propria dall’art. 25, comma 2, Cost., caratterizza ancora più marcatamente l’idea stessa del codice penale, chiamato a rafforzare il principio di legalità come fondamento e perimetro operativo del diritto penale. Per via della sua incidenza sulle libertà fondamentali, il meccanismo repressivo richiede di essere contenuto entro confini predefiniti e non disponibili da parte della giurisdizione@.

 1.3. Ne discendono due conseguenze.

 La prima: i reati devono essere previsti in modo tassativo e non possono essere applicati in modo analogico. L’interpretazione – vedremo – presenta margini di libertà, ma non può ricreare liberamente il significato del segno.

 La seconda: la parte speciale, ossia l’elencazione dei reati in numero chiuso, se nella struttura del codice segue alla parte generale, in realtà, sotto il profilo funzionale, la precede.

 Vediamo in che senso e perché.

 Come conferma l’analisi storica e comparatistica, la codificazione penale si apre con l’affermazione del principio di legalità. Si pensi alle legislazioni preunitarie, come il “Codice penale per gli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla” del 1820 (art. primo@), il “Codice pel Granducato di Toscana” del 1853 (art. 1@), il “Codice penale per gli Stati del Re di Sardegna e per l’Italia Unita” del 1859 (artt. 1-3@). Lo stesso va detto con riguardo al “Codice Zanardelli” del 1889 (art. 1@) e alle principali codificazioni europee attualmente vigenti, come, per esempio, lo “Strafgesetzbuch” tedesco (§ 1@), il “Code pénal” francese (art. 111-1 e segg.@), il “Código penal” spagnolo (artt. 1 e segg.@) e il “Código penal” portoghese (art. 1@).

 Naturalmente, non fa eccezione il nostro codice penale, che all’art. 1 c.p. dispone: “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”.

 Anche nel contesto di un codice penale autoritario quale era il codice Rocco del 1930, aprire la parte generale con l’enunciazione del principio di legalità equivale a richiamare in limine la parte speciale, quale incarnazione del carattere discontinuo, puntiforme e frammentario dell’intervento penale@. I reati sono monadi non comunicanti, isole di un arcipelago, chiamato “parte speciale”. Il confine tra mare e terra non è frastagliato, ma lineare; ricorda le sponde della laguna, attraversata da onde lente e composte, nonostante l’alternarsi delle maree, non le scogliere battute dall’oceano. La legalità è la carta geografica di questo territorio, fatto di acqua e di terra, composto, in linea di principio, da una maggioranza di terre sommerse e una minoranza di terre emerse.

 

50 di 207


Sommario