Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
10. La Corte Edu
10.1. Nelle pagine che precedono il rapporto tra Europa e materia penale è stato tratteggiato nella prospettiva sovranazionale, ossia prendendo in considerazione il diritto dell’UE. Ma vi è un altro importante profilo di natura convenzionale cui occorre accennare: il riferimento è alla copiosa giurisprudenza della Corte Edu.
Qui il piano sembrerebbe ribaltarsi. La natura personalistica della Cedu fa sì che la sua incidenza interessi soprattutto lo statuto penalistico di parte generale. Non solo: la formulazione della Cedu come catalogo di principi assiologici, condiziona anche il metodo di produzione del diritto, che risulta casistico e finalizzato a distillare soluzioni fondate sul bilanciamento dei principi di volta in volta presi in considerazione@. Mentre la logica della fattispecie è quella di offrire al giudice l’esito di una ponderazione degli interessi già risolto in astratto dall’autorità legittimata a produrla, la tecnica del bilanciamento vede protagonista assoluto il giudice (la Corte Edu), cui viene demandato il compito di trovare, di volta in volta, il punto di equilibrio ottimale tra valori tendenzialmente divergenti.
Per dirla con estrema semplificazione: nell’attuazione della Cedu, il paradigma di civil law, ancora presente nel diritto penale di derivazione sovranazionale, cede il passo al paradigma tipico del common law, nonostante esso sia estraneo alla gran parte dei paesi che aderiscono alla Convenzione. Ne consegue in ogni caso un diritto ondivago, assai lontano dal costituire un seppure embrionale statuto di parte generale. La qual cosa spiega l’atteggiamento di sorvegliata prudenza della nostra Corte costituzionale nei confronti del diritto Cedu.
10.2. Sul piano dei contenuti, non deve fuorviare l’attuale prevalenza di una giurisprudenza penale garantistica e la conseguente impressione che a Strasburgo abbia sede la “Corte buona”, in quanto giudice dei principi. In certa misura la natura “favorevole” del diritto convenzionale è a sua volta “favorita” dalla sua ragion d’essere: la piena ed effettiva affermazione dei diritti fondamentali della persona, sui quali il diritto penale impatta, per definizione, in negativo. Questo spiega l’approccio volto al tendenziale contrasto degli eccessi di rigorismo punitivo nei quali può incorrere la macchina repressiva nazionale.
Con riguardo alla nostra legislazione, le pronunce da ricordare sarebbero molte. In questa sede è possibile solo un cenno a quelle più note anche per i settori di incidenza e il dibattito che hanno suscitato.
Sul versante strettamente sostanziale, rivestono particolare importanza gli interventi in materia di ragionevole prevedibilità del diritto e, segnatamente, di irretroattività dell’interpretazione giurisprudenziale in malam partem, quando non è ancora sufficientemente stabilizzata (si pensi, a titolo esemplificativo, alla controversa figura del concorso esterno nel reato di associazione mafiosa, elaborata dal diritto vivente, su cui: Corte Edu, sez. IV, 14 aprile 2015, Contrada c. Italia). Per non dire delle letture garantistiche concernenti il sistema sanzionatorio. Qui il raggio di azione della Corte spazia dai principi generali (qual è quello del ne bis in idem tra sanzione penale e sanzione amministrativa: Corte Edu, sez. II, 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia) alla natura preventiva e repressiva di specifici istituti, come la pena pecuniaria di importo particolarmente elevato (Corte Edu, sez. II, 27 settembre 2011, Menarini c. Italia).
Con riferimento al pianeta “carcere” non possono trascurarsi poi le censure mosse alla situazione di sovraffollamento dei nostri istituti penitenziari, quale condizione di deprivazione fattuale dei diritti sanciti dalla Convenzione nei confronti della persona (Corte Edu, sez. II, 8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia). Sul piano della funzione rieducativa della pena, la Corte Edu ha censurato da ultimo l’ergastolo ostativo (Corte Edu, sez. I, 13 giugno 2019, Viola c. Italia).
Quanto al processo penale, anche per i suoi nessi con il contrastato dibattito sulla disciplina della prescrizione, è sufficiente menzionare la copiosa giurisprudenza, che qui è superfluo richiamare, sulla durata ragionevole del processo, quale garanzia soggettiva, che costituisce per l’ordinamento interno un’obbligazione di risultato.
10.3. Sennonché, il diritto penale è notoriamente un’arma a doppio taglio, perché, per un verso, incide sulla libertà personale, per l’altro è lo strumento di tutela dei diritti della persona. Ciò non preclude, dunque, alla giurisprudenza Cedu di sollecitare, all’occorrenza, l’impiego del diritto penale. Come non si è mancato di rilevare, al riguardo, il sistema Cedu mostra di poter produrre esiti si segno opposto, facendo prevalere sbilanciamenti ispirati a una visione vittimocentrica del diritto penale@. Stante la posizione dialettica in cui si trovano reo e vittima, optare per i diritti della vittima significa indebolire la cultura penalistica reocentrica non solo sul piano sostanziale, ma anche su quello processuale, esposto a virate inquisitorie per ovviare al maggior rischio di vittimizzazione secondaria insito nel modello accusatorio@.
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