Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
9. L’interpretazione secondo il diritto europeo
di Costanza Bernasconi
9.1. L’interpretazione conforme costituisce uno dei principali meccanismi attraverso i quali si può realizzare la penetrazione per via giudiziaria del diritto europeo nel diritto L’obbligo di interpretazione secondo il diritto europeo vincola, infatti, il giudice ad applicare la normativa nazionale attribuendo ad essa un senso conforme alla lettera e alla ratio delle fonti sovranazionali@, talché ne scaturisce una disciplina di sintesi, in cui la disposizione applicata è nazionale, ma il suo contenuto è determinato alla luce del diritto UE@.
9.2. L’esame della giurisprudenza della Corte di Giustizia mostra, peraltro, quanto elasticamente sia stato fin qui inteso il concetto di interpretazione conforme, ritenuto uno strumento insostituibile per rendere effettiva l’applicazione del diritto eurounitario nel diritto Il canone dell’interpretazione conforme sembra addirittura assumere, nella prospettiva europea, tratti di tale necessità ed insostituibilità da far passare in secondo piano il tema dei “confini” di detta interpretazione, apparendo tale argomento recessivo rispetto a quella che costituisce per la Corte di Giustizia la vera priorità, “marcatamente orientata a garantire in termini effettivi la corretta applicazione del diritto dell’Unione”@.
Invece, quello dei limiti è (o almeno dovrebbe essere) il tema centrale nell’ambito dello ius criminale. Si tratta, infatti, di comprendere fino a che punto possa spingersi detta attività conformativa dell’interprete senza sfociare in forzature ermeneutiche e incrinare, conseguentemente, il fascio di garanzie legate alla necessità della praevia et stricta lex parlamentaria.
9.3. Nel cercare di dare risposta a tale quesito, occorre innanzitutto muovere dal presupposto che l’interpretazione conforme (si badi: ogni interpretazione conforme) deve rispettare il tenore letterale della norma, non potendo mai risolversi in esiti ermeneutici contra legem. In altre parole, il telos del forzoso adeguamento ermeneutico delle norme interne alle esigenze della normativa europea non può comportare alcuno stravolgimento dei contenuti della legislazione nazionale.
Siffatto risultato parrebbe (salvo inattesi e inaccettabili revirements) acquisito, in linea di principio, anche sul fronte della giurisprudenza europea, ad avviso della quale “il principio di interpretazione conforme non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale”@.
Inoltre, deve escludersi che l’interpretazione more communitario possa avere ricadute peggiorative sulla situazione giuridica del singolo, comportando un’estensione dell’ambito applicativo di fattispecie incriminatrici nazionali. Eventuali obblighi di penalizzazione o di irrigidimento del trattamento sanzionatorio, sia pure discendenti dal diritto UE, non possono infatti che essere attuati mediante normativa interna di trasposizione@. Un epilogo in malam partem dell’interpretazione è, infatti, interdetto – lo si ribadisce – dall’operatività del principio di legalità in tutte le sue declinazioni.
9.4. Per quanto non siano mancate iniziative dei giudici nazionali volte a invocare il diritto dell’Unione al fine (non di circoscrivere, bensì) di ampliare l’area dell’illiceità penale, con evidenti effetti in malam partem@, le sezioni unite della Corte di Cassazione sono intervenute in diverse occasioni per disinnescare tale meccanismo@, oltre che per cercare di inibire l’uso del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia al fine di ottenere forme di tutela penale altrimenti precluse dalla legislazione nazionale@.
In tale prospettiva si è ricordato che l’obbligo di interpretazione conforme – oltre al vincolo di ordine logico-formale consistente nel divieto di pervenire ad una interpretazione contra legem – trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, ed in particolare in quelli di certezza e di non retroattività@. Sicché, l’obbligo del giudice nazionale di interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale sussiste “entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme (…..). Peraltro, è costante la giurisprudenza costituzionale secondo la quale il secondo comma dell’art. 25 Cost. deve ritenersi ostativo all’adozione di una pronuncia additiva che comporti effetti costitutivi o peggiorativi della responsabilità penale, trattandosi di interventi riservati in via esclusiva alla discrezionalità del legislatore. Deve concludersi, pertanto, che l’utilizzo della normativa sovranazionale, allo scopo di integrazione di elementi normativi, va escluso allorquando – come si verificherebbe nel caso di specie – gli esiti di una esegesi siffatta si traducano in una interpretazione in malam partem della fattispecie penale nazionale”@.
9.5. Resta naturalmente aperta, invece, la strada per una interpretazione conforme idonea a produrre effetti in bonam partem, la quale – all’evidenza – non soffre i vincoli garantistici sottesi al nullum crimen e ai suoi corollari@. In siffatta eventualità, il (non trascurabile) problema è, piuttosto, quello relativo all’individuazione del parametro europeo cui adeguare l’interpretazione della norma interna, considerata l’immensa quantità di norme europee, la notevole eterogeneità qualitativa e contenutistica delle stesse, le non infrequenti pronunce della Corte di Giustizia volte a chiarirne la portata@. Circostanza, questa, che, da un lato, impone uno straordinario impegno ricostruttivo da parte del giudice, oltre che una profonda e consolidata conoscenza delle fonti sovranazionale e dei loro rapporti interni, e che, dall’altro lato, rischia di trasformare l’interpretazione conforme in un’attività dagli esiti difficilmente prevedibili.
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