Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
5. Ricapitolando
di Fausto Giunta
5.1. La parola è un recinto di significati, che si combinano con quelli delle altre parole compresenti in un dato discorso. Interpretare consiste nell’attribuire significati ai segni. Si tratta di un’attività sperimentale, perché, specialmente nei casi complessi, procede per tentativi; ed è anche creativa, in quanto solitamente lascia a chi la compie apprezzabili margini di scelta.
L’interpretazione, però, non è libera, né arbitraria, avendo ad oggetto il segno, che è portatore di un fascio di significati suoi propri, tutti possibili e suscettibili di essere compresi secondo le regole proprie del linguaggio con il quale è stato posto. Il linguaggio, soggetto ad una spontanea, impersonale e democratica evoluzione, è dunque l’anima del segno, ciò che impedisce alla scrittura di ridursi a pensiero pensato. Finché l’enunciato non sarà travolto dalla vetustà linguistica (con conseguente cessazione della funzione comunicativa del linguaggio), il segno sarà pensiero pensante.
Nel diritto il segno è costituito dall’enunciato normativo. L’esito interpretativo vede accrescere la sua prevedibilità nella misura in cui il riconoscimento di senso, da parte del giudicante, si mantenga nell’ambito dei significati nucleari comunemente riconosciuti ai segni che compongono lo specifico discorso giuridico. Nel campo penale, l’imposizione del segno è governata dal principio di legalità, quale precondizione della sua corretta interpretazione. L’enunciato normativo deve essere scritto e preciso, perché testualità e determinatezza sono funzionali alla certezza del diritto.
5.2. L’interpretazione è esposta, per sua natura, al soggettivismo e finanche all’intuizionismo dell’interprete. Ciò non significa rinunciare all’oggettività e alla razionalità del giudizio, che sono favorite dall’obbligo della motivazione scritta funzionale alla comunicazione e al controllo. Il principio di stretta interpretazione impedisce l’inventio di nuovi significati a danno dell’imputato. Le regole del linguaggio, che si modificano di pari passo con la storia sociale, assumono valore garantistico. La testualità del diritto penale va presa sul serio@, come carattere sia dell’enunciato normativo, sia della motivazione giudiziale. In questo senso la letteralità è l’orizzonte massimo dell’interpretazione nel campo penale.
Oggetto di interpretazione, dunque, non è il contesto sociale che si è evoluto, ma resta il testo che, attraverso il linguaggio, lo narra, lo comprende e lo regola.
L’interprete non può spezzare la circolarità dell’ermeneutica sostituendo il contesto al testo, ma deve rimanere all’interno dei (plurimi) significati consentiti dall’enunciato normativo, per proiettarli, nel rispetto di tali limiti, sulla realtà sociale.
La ritenuta inadeguatezza dell’art. 674 c.p. – per fare un esempio – non consente di applicare la contravvenzione del getto pericoloso di cose alla creazione dei campi elettromagnetici, per la semplice ragione che essi – di sicuro – non sono cose mobili suscettibili di essere gettate, come richiede chiaramente l’enunciato normativo in questione. L’adeguamento del testo al contesto sociale, che va oltre i significati linguisticamente plausibili, non è compito dell’interprete, ma del legislatore@.
L’interprete della meritevolezza di pena è il legislatore, che vi provvede formulando l’enunciato normativo. Il giudice, quale interprete di secondo grado, è soggetto alla legge, per disposto dell’art. 101, comma 2, Cost.
5.3. Nell’ambito delle interpretazioni conformi al testo, la scelta dell’interprete non è priva di parametri orientativi. Vengono qui in rilievo, da un lato, i principi costituzionali di offensività e colpevolezza, dall’altro, il precedente conforme come meccanismo di stabilizzazione del c.d. formante giurisprudenziale. In origine il precedente di legittimità vantava un’influenza meramente persuasiva e argomentativa; oggi il sistema sembra volersi avvicinare alla regola dello stare decisis, seppure limitatamente alla giurisprudenza delle Sezioni Unite. La riforma c.d. Orlando (l. n. 103 del 2017) ha introdotto, nel riformulato l’art. 618 c.p.p., un vincolo ordinamentale e procedimentale. La Sezione semplice che intenda discostarsi dalle Sezioni Unite deve rimettere a queste ultime la questione. La certezza del diritto è un valore e una garanzia, che non deve tuttavia diventare una rinuncia all’argomentazione e l’adesione a un acritico conformismo decisionale.
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