testi ed ipertesti

Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta

2. Lettura, comprensione e interpretazione

di Fausto Giunta

 

 2.1. In che rapporto stanno la lettura, la comprensione e l’interpretazione di una disposizione? Possono considerarsi espressioni equivalenti?

 Partiamo da un tipo di enunciato normativo apparentemente semplice, qual è il divieto dell’automobilista di transitare con il rosso. Il semaforo è un simbolo convenzionale disciplinato dal codice della strada@. Attraverso un segnale luminoso, esso attualizza e semplifica l’enunciato normativo, rendendolo di immediata percezione.

 È indubitabile che l’estrema formalizzazione del simbolo facilita la comprensione del precetto, assottigliando lo spazio della sua interpretazione, che recupera centralità in situazioni patologiche ed eccezionali, tali da mettere in discussione l’operatività del divieto.

 Ciò è implicitamente riconosciuto anche da quella autorevole dottrina che sottolinea l’indefettibilità del momento interpretativo e la molteplicità degli esiti, tutti metodologicamente legittimi e diversi@. Ebbene, pur ammettendo che il semaforo possa essere interpretato teleologicamente, una siffatta eventualità appare infrequente. Di regola l’obbligo di conformazione deve essere immediato, al punto che la riflessione ermeneutica, con il suo ingombro temporale, può apparire addirittura disfunzionale.

 2.2. La stessa logica di semplificazione caratterizza l’ordine, che può essere, scritto, orale oppure ancora affidato ad apposita gestualità (si pensi al vigile urbano che, paletta alla mano, intima a un automobilista di fermarsi)@.

 Del resto l’ordine, quale precetto posto dal superiore gerarchico e caratterizzato dalla tendenziale insindacabilità, conferma l’esistenza di regole comportamentali nelle quali l’interesse prevalente è l’esecuzione subitanea, quasi irriflessiva, purché l’ordine presenti la forma richiesta, dalla quale si desume la legittimazione dell’ordinante a emetterlo. Di sicuro, l’obbligo di obbedienza deve essere diligente e intelligente, ma ciò non toglie che l’interpretazione, che va ponderata, si ponga in tensione con l’esigenza dell’immediata obbedienza. Se i destinatari dell’ordine avessero il potere di rivalutarlo con tutta calma e adeguati margini di creatività, l’ordine perderebbe gran parte della sua ragion d’essere.

 2.3. Sia detto per incidens: la rivalutazione (fino all’estremo dell’enfatizzazione) del momento interpretativo interessa soprattutto la lettura giudiziale ex post dell’enunciato normativo. Analoghi riconoscimenti non si riscontrano invece a proposito dello stesso enunciato normativo considerato ex ante da parte del cittadino. Sembra quasi che la complessità non sia carattere dell’attività interpretativa in sé, ma dipenda dalla posizione di chi la svolge, come dimostra la giurisprudenza in materia di scientia iuris. Nei non frequenti casi di diritto incerto, il cittadino non può scusarsi dimostrando di avere ponderato attentamente l’interpretazione prescelta, magari più fedele al testo; il suo impegno non vale a nulla, perché deve conformarsi all’interpretazione giudiziale, per definizione preferibile. E se quest’ultima non è univoca, il cittadino deve astenersi dall’agire. Chi pattina sul ghiaccio sottile – si afferma – deve mettere in conto il rischio di sprofondare nell’acqua gelida@. Imputet sibi, anche quando pattinare sul ghiaccio di Stato  è una necessità e non una libera scelta del cittadino.

 In breve: l’interpretazione giudiziale si rivela sempre più esposta al relativismo e alla precomprensione. Da qui un atteggiamento di accettazione dei margini di creatività e aleatorietà dei risultati. Riguardo all’interpretazione del diritto da parte del cittadino il discorso cambia, perché muta il parametro di valutazione. Il consociato è l’incarnazione dell’homo oeconomicus, freddo e razionale, capace di interpretare al meglio il diritto e dunque colpevole di non essere pervenuto alle conclusioni della giurisprudenza, specie se creative.

 

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