Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
3. Rinvio nominale ed elementi c.d. normativi giuridici della fattispecie
3.1. Il rinvio a un’altra norma può essere realizzato in modo nominale, ossia indicando espressamente la disposizione richiamata attraverso gli estremi identificativi della sua fonte di cognizione. Si è già fatto l’esempio dell’art. 615-bis c.p., che rimanda a un altro articolo dello stesso codice. Volendone fare un altro, si pensi alla fattispecie di omicidio stradale, di cui all’art. 589-bis c.p., che rimanda all’art. 187 cod. strada in materia di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti.
In alternativa, il rinvio può avvenire per tramite dei c.d. elementi normativi, intendendosi con tale espressione quelle componenti linguistiche che individuano un requisito di fattispecie attraverso il rimando a norme diverse, la cui concreta individuazione è rimessa all’interprete. Si tratta di un rinvio logico, poiché l’identità della disposizione richiamata si desume dalla ratio della norma richiamante, come accade nell’art. 575 c.p., che rimanda in via interpretativa alla nozione di morte cerebrale (quale cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo) accolta dalla l. n. 578 del 1993. Si pensi, ancora, al concetto di “matrimonio avente effetti civili”, che, presente nella fattispecie di bigamia (art. 556 c.p.), per la sua esatta comprensione rinvia alla nozione contenuta negli artt. 82 s. c.c. Si considerino infine i concetti di denuncia, querela, richiesta e istanza, che, espressamente previsti nella fattispecie di calunnia di cui all’art. 368 c.p., rimandano alle corrispondenti definizioni contenute nel codice di procedura penale.
Quando gli elementi normativi qualificano un dato elemento di fattispecie attraverso la mediazione di una disposizione non penale, essi determinano l’eterointegrazione della norma penale, nel senso che la norma incriminatrice, incorporando in sé i contenuti delle disposizioni extra-penali, assoggetta gli enunciati normativi così richiamati ai princìpi propri della disciplina penale. Anche per i contenuti dispositivi incorporati vale il principio di legalità, sub specie di riserva di legge, determinatezza, divieto di analogia e irretroattività della disciplina sfavorevole. In breve: la norma penale richiamante estende alla disposizione richiamata le istanze di garanzia proprie della legge penale, la tecnica del rinvio sarà legittima nella misura in cui l’intarsio normativo che ne deriva produce una fattispecie determinata. Una volta incorporate nella fattispecie incriminatrice, anche le norme civili e amministrative devono considerarsi penali, talché, in termini più generali, si può dire che, accanto a norme penali che nascono tali, ve ne sono altre che diventano penali in ragione della loro incorporazione nell’ambito della fattispecie incriminatrice.
3.2. Benché le due anzidette modalità di rinvio producano gli stessi effetti e ripropongano problematiche sostanzialmente unitarie, va precisato che, a differenza del rinvio nominale, quello effettuato attraverso l’elemento normativo non è prima facie né sicuro, né univoco. Esso, cioè, si manifesta solo a seguito di una prima verifica Nulla esclude, infatti, che l’elemento che si suppone normativo sia tale solo in apparenza, nel senso che, non potendosi considerare come un rinvio al contenuto regolativo di un’altra norma, pena l’irragionevolezza dell’esito interpretativo, lo si debba intendere in modo a-tecnico, secondo il significato, di solito meno univoco, che il termine assume nel linguaggio comune.
Si pensi al tormentato dibattito sulla nozione di possesso nei delitti contro il patrimonio. Se si intendesse, il concetto di possesso – che, come noto, rileva, tra l’altro, come presupposto positivo dell’appropriazione indebita (art. 646 c.p.) e presupposto negativo del furto (art. 624 c.p.) – in senso civilistico, ovvero quale elemento normativo da interpretarsi alla stregua dell’art. 1140 c.c., dovrebbe concludersi per l’irrilevanza penale della condotta del depositario, del locatario, del comodatario o del mandatario che si appropriano la cosa altrui.
Per la legge civile, infatti, tali figure sono meri detentori e non possessori, con la conseguenza che essi non potrebbero considerarsi soggetti attivi dell’appropriazione indebita, ma nemmeno autori di furto, dato che, tipizzando una condotta di spoglio, quest’ultima fattispecie non può essere logicamente realizzata da chi detiene la cosa.
Ebbene, proprio l’irragionevole lacuna di tutela cui condurrebbe l’accezione del possesso quale elemento normativo ha indotto la dottrina e la giurisprudenza a optare per una interpretazione c.d. autonoma (i.d. non normativa) della nozione di possesso@.
Viceversa, quella che prima facie sembra una componente linguistica comune della fattispecie, a un più attento esame può rivelarsi un elemento normativo.
Infine, nulla esclude che, a seguito di un intervento definitorio, un elemento della fattispecie ab origine naturalistico diventi normativo (è il caso della nozione di morte, di cui si è detto).
3.3. Per l’opinione prevalente, l’elemento normativo si distinguerebbe in giuridico e sociale a seconda che esso per l’appunto rinvii a una norma giuridica o sociale. Ebbene, nonostante la sua diffusione, questa impostazione rischia di confondere fenomeni tra di loro diversi. Invero, mentre l’elemento normativo giuridico determina un rinvio a un’altra norma giuridica, l’elemento normativo sociale rimanda a parametri di valutazione di natura socio-culturale già impliciti nel significato che il termine, utilizzato per esprimerlo, assume nel linguaggio comune. In altre parole: mentre il primo fenomeno interessa il rapporto tra fonti normative, il secondo si esaurisce a livello interpretativo.
Diversa, del resto, è anche la funzione del c.d. elemento normativo sociale, dato che esso non mira a correlare tra loro settori normativi, ma serve ad adeguare il linguaggio legislativo all’evoluzione della realtà socio-culturale.
Da qui l’opportunità di superare la distinzione tra elemento normativo ed elemento descrittivo a favore di una diversa classificazione delle componenti linguistiche della fattispecie: quella tra unità linguistiche ordinarie, decifrabili alla stregua del linguaggio comune, e unità linguistiche giuridiche che vanno intese alla stregua di altre norme giuridiche@. Questa partizione offre, tra l’altro, il vantaggio di poter qualificare nell’ambito delle prime gli elementi linguistici che rinviano a nozioni scientifiche, come ad esempio il concetto di sordomutismo, oppure “norme” in senso improprio in quanto, essendo meramente descrittive e non anche prescrittive, non operano quali criteri di comportamento. Naturalmente, nulla impedisce che un elemento della fattispecie rinvii a una norma giuridica, la quale a sua volta rimandi, nella parte in cui essa non è definita, a un enunciato scientifico. Il linguaggio legislativo, invero, può snodarsi attraverso rinvii di natura diversa, come accade per l’appunto con la disciplina della causalità: il verbo “cagionare”, presente nelle fattispecie causalmente orientate rimanda alla disciplina contenuta negli artt. 40 e 41 c.p., che, a loro volta, rinviano – secondo la dottrina unanime – alle leggi scientifiche per la messa a fuoco della nozione di causa.
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