Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
5. L’autarchia espressiva della legalità
5.1. La scrittura mantiene ancora intatte queste caratteristiche, nonostante il suo processo di smaterializzazione. È ben vero che la scrittura informatica sta progressivamente soppiantando quella su carta; nondimeno, la parola scritta – che sia tracciata su supporto materiale o codificata attraverso una precisa struttura informatica – resta destinata all’autarchia espressiva. Il suo messaggio non è correggibile o integrabile mentre è in corso la comunicazione. Sarà una fissità precaria; magari vincerà l’interprete, perché il futuro ha l’ultima parola sul passato. Ciò non mette in discussione le ragioni che portano a valorizzare la dimensione scritta della legge penale e la visibilità del divieto.
5.2. La categoria del segno comprende anche il messaggio visivo; si pensi ai segnali propri della circolazione stradale, la cui immagine, tuttavia, non ha una autosufficienza comunicativa, trovando il suo dizionario ancora una volta nel testo di legge, nel caso di specie il codice della strada. L’iconografia non è immune dalle ambiguità che affliggono il segno come genere, e dunque anche la parola. L’uso dell’immagine, quando risponde a una precisa convenzione di significato, persegue perlopiù una semplificazione del messaggio. Ed è per questo che nel diritto è impiegata con funzione esemplificativa e per esigenze di immediatezza della comunicazione. La legalità penale – saggiamente – evita questo ulteriore passaggio, affidandosi direttamente alle parole quali atomi della testualità del diritto e della sua funzione narrativa. La parola non va sopravalutata, quando rischia di nascondere il pensiero, ma resta ancora un prezioso argine garantistico@.
Questo modello di legalità può risultare ingenuo se si sopravvaluta l’univocità espressiva del segno. Ma si tratta di un limite che in ogni caso riguarda la nostra capacità comunicativa e la natura del linguaggio.
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