Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
18 La ricettazione
18.1. La ricettazione prevede un duplice presupposto.
Quello negativo si ricava dalla clausola di riserva (“fuori dei casi di concorso nel reato”), la quale esclude dal novero dei soggetti attivi della ricettazione tanto il concorrente nel reato principale, quanto a fortori il suo unico autore. Per il resto il delitto-presupposto può essere doloso o colposo, consumato o tentato, offensivo del patrimonio o meno. È altresì irrilevante che sia stato commesso da persona non imputabile o non punibile ovvero ancora che manchi una condizione di procedibilità. Sul piano probatorio, l’estraneità dell’autore del ricettatore al reato presupposto impone di distinguere a seconda che il reato principale sia più gravemente punito della ricettazione, anche in considerazione di condizioni di procedibilità ovvero di cause di non punibilità o estinzione. In entrambe le ipotesi graverà sull’accusa l’onere di provare la condotta di ricettazione; nel secondo caso sarà interesse dell’imputato dimostrare di essere l’autore del reato presupposto o uno dei concorrenti. Difficilmente, però, basterà la sua sola confessione, che risulterà poco credibile in quanto inquinata dall’interesse a ottenere un trattamento sanzionatorio più favorevole.
18.2. Il requisito positivo consiste invece nella provenienza dell’oggetto materiale da un delitto, non anche da una contravvenzione.
Al riguardo si potrebbe obiettare che nella summenzionata clausola di riserva si parla di “reato”, termine notoriamente comprensivo delle contravvenzioni. Sennonché questo rilievo finisce per provare troppo: l’antinomia renderebbe indeterminata la fattispecie. Per converso, l’interpretazione restrittiva, peraltro coerente con canone in dubio pro reo, farebbe salva la ratio garantistica del principio di determinatezza.
Secondo la giurisprudenza, non è necessario che il reato-presupposto sia accertato giudizialmente, risultando sufficiente la sua astratta configurabilità alla luce degli elementi di fatto acquisiti e scrutinati@.
18.3. La provenienza della cosa da delitto viene intesa perlopiù nell’accezione lata: il concetto includerebbe tutto ciò che è servito per la commissione del delitto-presupposto. Preferibile, però, appare l’interpretazione restrittiva che, distinguendo tra “provenienza” dal reato e “pertinenza” al reato, delimita la tipicità a quanto è ottenuto a mezzo del delitto o ne costituisce il prodotto, il prezzo o il profitto. Perdono di rilevanza, dunque, i beni che, pur essendo suscettibili di condotte intese a occultarne i nessi con l’attività penalmente illecita, sono stati solamente utilizzati per la commissione del reato presupposto
L’oggetto materiale può essere denaro, cose mobili o mobilizzate; non anche cose immobili in quanto non suscettibili di occultamento. La cosa deve essere la stessa proveniente dal delitto presupposto. Non è tale il suo equivalente in denaro@. Risultano irrilevanti le lavorazioni e le trasformazioni che rimangono nei limiti della c.d. specificatio (si pensi a un diamante trasformato in un anello di maggior valore). Queste precisazioni restringono la portata della “ricettazione da ricettazione”, là dove la si ritenga ammissibile@.
18.4. Tra le condotte indicate nell’art. 648 c.p. particolare importanza riveste, per la sua massima latitudine, quella consistente nella ricezione. Per la sussistenza del reato in esame è sufficiente qualunque contatto con la cosa idoneo ad opacizzarne la provenienza delittuosa. L’altra condotta tipica consiste in qualunque intromissione in grado di produrre lo stesso effetto.
18.5. Il dolo è specifico: il reo deve agire al fine di procurare a sé o ad altri un profitto. Quanto al suo oggetto, è necessario che l’agente si rappresenti la sua provenienza delittuosa.
Si discute se la ricettazione possa configurarsi con dolo eventuale. Questo tema è strettamente collegato al discrimine tra il delitto in esame e la contravvenzione di incauto acquisto, la quale punisce chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per la entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato (art. 712 c.p.).
Il confine, secondo l’orientamento prevalente, andrebbe tracciato esclusivamente in base alla diversità dell’elemento soggettivo: l’una, infatti, prevedendo un delitto, sarebbe imputabile a titolo di dolo; l’altra, trattandosi di una contravvenzione, risulterebbe ascrivibile per colpa. Venendo al caso di colui che, pur non essendo sicuro dell’illecita provenienza dell’oggetto materiale, lo acquisti accettando il rischio della sua provenienza illecita, per l’opinione prevalente, saremmo pur sempre nell’ambito della ricettazione realizzata con dolo “eventuale”. Questa soluzione, però, trascura che, per espressa previsione di legge, la ricettazione richiede l’effettiva provenienza illecita della cosa ricettata, là dove, in base al tenore letterale dell’art. 712 c.p., per la contravvenzione dell’incauto acquisto è sufficiente la sospettabilità di tale provenienza. Nell’ipotesi in cui il reo agisca nel dubbio, decisivo diventa il riferimento dell’art. 712 c.p. al sospetto dell’illecita provenienza della cosa acquistata o ricevuta. Questo requisito, infatti, indica uno stato psicologico effettivo, niente affatto necessario per descrivere un fatto colposo. Conseguentemente lo stato di dubbio, essendo contemplato in via esclusiva dall’art. 712 c.p., attrae la realizzazione del fatto con dolo eventuale nell’ambito della contravvenzione dell’incauto acquisto@.
18.6. A fronte di circostanze aggravanti speciali (se il denaro o le cose provengono da reati-presupposto particolarmente gravi ovvero se il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale), la legge prevede una cornice di pena meno severa per il fatto di particolare tenuità.
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