testi ed ipertesti

Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta

10. La truffa

 

 10.1. Alla seconda categoria – quella dei reati con la cooperazione del soggetto passivo ingannato – appartengono i reati di frode.

 Viene qui in rilievo anzitutto il delitto di truffa (art. 640 c.p.) che punisce, a querela della persona offesa, chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.

 Gli elementi costitutivi espressi della fattispecie incriminatrice sono tre: la condotta ingannatoria (ossia artifizi e raggiri che inducono in errore il loro destinatario), il profitto dell’agente, che deve essere ingiusto, e il danno del soggetto passivo. Di fondamentale importanza è il requisito tacito dell’atto di disposizione patrimoniale, che fa da collante: il suo compimento, indotto dalla condotta ingannatoria, deve essere a sua volta produttivo degli eventi del danno e del profitto.

 10.2. “Artifizi e raggiri” è un’espressione dal significato oltremodo lato, che va intesa tenendo conto che la truffa è un “reato in contratto”. La condotta non può prescindere, pertanto, dal contesto negoziale in cui si colloca. Essa indica un’immutatio veri, ossia un’artata rappresentazione della realtà ad opera del reo, strumentale a cagionare un evento puramente psicologico, qual è l’errore del soggetto passivo. Qualunque modalità ingannatoria può costituire un artifizio o un raggiro, purché sia commissiva e idonea a trarre in errore.

 Non bisogna confondere, però, l’omissione dal momento omissivo della condotta attiva. Il silenzio dell’agente su alcuni elementi di fatto, se accompagnato da falsità su altri aspetti del negozio in formazione, perde la sua natura omissiva. Il senso complessivo della condotta è commissivo. Gli artifizi e raggiri difettano anche nel caso in cui l’agente approfitti della situazione di errore in cui versa, per una causa diversa, il soggetto passivo. Si pensi a colui che, convinto di aver vinto la lotteria, invita a festeggiare in un costoso ristorante alcuni conoscenti, i quali accettano pur sapendo dell’errore che sta all’origine dell’invito.

 10.3. Quanto all’idoneità della condotta ingannatoria, la giurisprudenza giunge di fatto a negarla, ritenendo sufficiente l’efficacia causale degli artifizi e raggiri a indurre in errore il loro destinatario. Detto altrimenti, alla loro valutazione ex ante viene preferita, secondo l’interpretazione letterale dell’art. 640 c.p., quella ex post. Perde così di rilevanza tanto la particolare credulità del soggetto passivo, che, per esempio, ha acquistato dal sedicente mago televisivo il talismano dell’eterna giovinezza, quanto la negligenza del soggetto passivo, che avrebbe potuto facilmente smascherare il carattere fraudolento della condotta, come nel caso dell’oggetto che viene ceduto a un prezzo inverosimilmente basso per essere realmente d’oro, come dichiarato dal venditore.

 Per evitare questi eccessi di tutela la dottrina d’oltralpe ha elaborato un indirizzo di pensiero, definito “vittimodogmatica”, che esclude la tutela penale degli interessi privati nei casi in cui il soggetto passivo avrebbe potuto proteggerli da sé e ha mancato di farlo. Da noi, come si diceva, si ritiene irrilevante il comportamento del soggetto passivo della truffa, ragion per cui la “vittimodogmatica” è generalmente criticata@. Per questa via, per rimanere nell’ambito della truffa, il diritto penale diventa sempre più totale e paradossale: in base a un orientamento consolidato, la giurisprudenza civile, per esempio, esclude la rilevanza ingannatoria del c.d. dolus bonus, ossia della pubblicità ingannevole, che presenta sovente una disonestà simile, e perdipiù su larga scala, a quella che caratterizza le applicazioni della “vittimodogmatica” in materia di truffa. Da qui, a nostro avviso, la via interpretativa per una ragionevole e coerente contrazione della tutela penale in nome della declinazione ermeneutica del principio di sussidiarietà (v. supra Cap. V, § 7): nei casi in cui la giurisprudenza civile nega la tutela risarcitoria, a fortiori il giudice penale non può concedere quella penale.

 10.4. La centralità dell’atto di disposizione patrimoniale nel delitto di truffa non è seriamente contestata. Nondimeno, essa risulta svalutata in via interpretativa, venendo ravvisata in condotte che non rientrano a rigore nella nozione. Si ritiene, per esempio, che costituisca atto di disposizione patrimoniale la mancata riscossione di un credito certo, liquido ed esigibile, trascurando che una siffatta inazione, quand’anche indotta con inganno, a rigore non costituisce un fatto giuridico. Il mancato esercizio del diritto di esigere il proprio credito, infatti, non modifica il rapporto giuridico sottostante, a meno che non determini l’estinzione del credito ad esempio per prescrizione.. Parimenti non costituisce a rigore truffa l’esposizione da parte di un automobilista di un falso contrassegno per parcheggiare negli spazi riservati ai residenti: il vigile che, ingannato dal contrassegno falso, non sanziona la violazione, non dispone del patrimonio del comune e non ne determina una deminutio. Né può ritenersi che il comportamento dell’automobilista faccia sorgere di per sé un diritto del comune all’incasso della sanzione amministrativa. Questo credito sorge dopo l’accertamento, con la conseguenza che prima di allora non può parlarsi di deminutio patrimonii per mancato esercizio del potere sanzionatorio amministrativo.

 In breve: l’atto di disposizione patrimoniale è tale se incide sulla costituzione, modificazione o estinzione di rapporti giuridici patrimonialmente rilevanti.

 10.5. Per quanto riguarda le nozioni, profitto e il danno si rinvia a quanto si è già detto in termini generali sull’argomento (v. supra § 2.5.).

 10.6. Sono previste delle ipotesi aggravate.

 Dispone il capoverso dell’art. 640 c.p. che la pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a 1.549 se il fatto è commesso:

a) a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell’Unione europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;

b) ingenerando nella persona il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità;

c) in presenza della circostanza di cui all’art. 61, n. 5.

 A norma dell’art. 640-bis, la pena è da due a sette anni e si procede d’ufficio nel caso in cui la truffa riguardi contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o dell’Unione europea.

 10.7. Ci si chiede quale reato ricorra nel caso in cui l’agente, simulando di essere l’emissario di un’associazione mafiosa chieda all’esercente di un’attività commerciale il pagamento del “pizzo”, in mancanza  del quale seguirebbero gravi rappresaglie a suo carico. La questione che qui si pone è quella del confine tra l’estorsione e la truffa aggravata dal pericolo immaginario (art. 640, comma 2, n. 2, c.p.).  L’orientamento prevalente propende per la sussistenza dell’estorsione sulla base del rilievo che il soggetto passivo, percependo l’azione del reo come antagonistica, dispone  perché si sente costretto. Per questa impostazione ricorrerebbe invece la truffa aggravata quando il pericolo, non reale, viene presentato come indipendente dall’agente (si pensi al caso del sedicente mago che si faccia pagare lautamente per togliere al soggetto passivo un malocchio rappresentato come molto temibile per la sua salute). In breve, il confine passerebbe tra due diverse condizioni psicologiche: nell’estorsione il disponente avvertirebbe l’azione come coercitiva; nella truffa percepirebbe l’attività dell’agente come espressione di collaborazione@. Questa impostazione è certamente compatibile con il tenore letterale degli artt. 629 e 640 c.p. A nostro avviso il suo limite è quello di optare per la qualificazione più severamente punita, assimilando il pericolo reale a quello che tale non è. Se si ritiene che il principio di offensività impedisca l’equiparazione punitiva del pericolo putativo e di quello reale, la soluzione del caso dovrebbe essere quella opposta.

 

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