testi ed ipertesti

Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta

9. Umanizzazione e finalismo rieducativo

 

 9.1. Umanizzazione della pena e rieducazione del condannato sono principi costituzionali, anch’essi squisitamente penalistici, che dovrebbero condizionare la stessa tipologia dell’armamentario punitivo e comunque presiedere all’esecuzione della risposta sanzionatoria (art. 27, comma 3, Cost.). La loro nota comune risiede nel porre al centro dell’universo penale il colpevole, al duplice scopo di proteggerlo dagli eccessi punitivi e di offrigli l’opportunità della risocializzazione.

 Chiara e netta è la differenza di prospettiva, sul punto, tra l’odierno assetto costituzionale e la concezione della pena secondo il codice Rocco: il reo, isolato da ogni altra comunità, era abbandonato a se stesso e al degrado della condizione di detenuto. La sua afflizione non vantava obiettivi di recupero sociale. Sul condannato incombeva il dovere di espiare la pena, quale percorso emendativo interiore, spontaneo ed eventuale. Il diritto penitenziario, affidato al Regio decreto 18 giugno 1931, n. 787, si dedicava essenzialmente al governo di corpi avendo cura che le “norme di vita carceraria (…) siano bensì idonee ad emendare il condannato, ma non tolgano alla pena il carattere afflittivo e intimidativo”. L’esecuzione della pena doveva conservare “quell’austera serietà, che è connaturale al castigo”.

 9.2. Molto è cambiato da allora. Nondimeno, a fronte delle “aperture” del carcere verso il mondo esterno, per una fetta di popolazione penitenziaria la detenzione si ispira al custodialismo tipico delle istituzioni totali.

 

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