testi ed ipertesti

Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta

2. Nozioni civilistiche e interpretazioni autonomistiche

 

 2.1. Nei delitti contro il patrimonio figurano nozioni di natura civilistica. Si pensi essenzialmente ai concetti di possesso, detenzione, altruità, cosa mobile e immobile, patrimonio, danno e profitto.

 Secondo una prima e meno recente impostazione, tali nozioni costituiscono elementi normativi del fatto tipico (v. supra cap. IV, § 3.2.). Essi andrebbero interpretati in senso civilistico per assicurare l’unità dell’ordinamento giuridico. Sennonché il riconoscimento della natura normativa di un elemento di fattispecie non precede l’interpretazione, ma fa parte dell’interpretazione@. Questo spiega perché nei delitti contro il patrimonio prevalga la tendenza a intendere tali nozioni in modo autonomo. La loro interpretazione civilistica, infatti, condurrebbe, in molti casi, a esiti applicativi del tutto incongrui. Considerato ciò, la coincidenza tra i concetti richiamati e il loro significato civilistico non può che essere frutto di una presunzione relativa, la quale deve cedere il passo all’interpretazione autonomista quando l’accezione civilistica risulti irragionevole o contraddittoria.

 2.2. È quanto accade in relazione al concetto penalistico di possesso che dottrina e giurisprudenza intendono in deroga alla nozione civilistica (v. supra cap. IV, § 3.2.). Quest’ultima, come noto, ruota sull’esercizio di un potere di fatto uti dominus. Se essa venisse trasferita nel diritto penale, nel caso di deposito si aprirebbe un irragionevole spazio tra furto e appropriazione indebita, tradizionalmente ritenute fattispecie contigue, l’una incentrata sulla sottrazione della cosa da parte di non la detiene (requisito negativo), l’altra sull’impossessamento ad opera del possessore (requisito positivo). Ebbene, l’aggressione unilaterale proveniente dal depositario, in quanto detentore e non possessore per il diritto civile, non costituirebbe furto per difetto del requisito negativo (l’agente sarebbe detentore), ma non sarebbe sanzionabile nemmeno come appropriazione per mancanza del requisito positivo (il depositario non sarebbe possessore). Tutto ciò, peraltro, in contrasto con la lettera della legge. Che il deposito ben possa costituire il presupposto dell’appropriazione indebita è confermato, infatti, dalla previsione dell’apposita aggravante nel caso in cui esso sia necessario (art. 646, comma 2, c.p.).

 Per evitare questo epilogo si conviene che il possesso penalistico consista nella signoria di fatto sulla cosa al di fuori del controllo di chi esercita su di essa un potere giuridico maggiore. Da questa angolazione anche il depositario sarebbe possessore e passibile di pena, ai sensi dell’art. 646 c.p., nel caso di condotta appropriativa.

 E ancora: il facchino dell’albergo, che porta le valigie dei clienti in camera, non è né un possessore, perché agisce sotto il controllo dei proprietari, né un detentore trattandosi di una situazione priva di stabilizzazione, ma una longa manus dei suoi clienti, al pari di un mezzo meccanico di trasporto dei bagagli. Se così non fosse, ove fuggisse con le valigie, non avrebbe commesso un furto, prevedendo questa fattispecie che la cosa venga sottratta a chi la detiene. Invece, proprio perché non detiene e non possiede, il facchino commette furto se sottrae la cosa mobile (spossessando il possessore) e se ne impossessa (instaurando un nuovo possesso). Risponderà, invece, di appropriazione indebita il corriere che porta a casa sua la merce da consegnare al destinatario. Nel furto manca la violazione dell’affidamento che, invece, è requisito costitutivo dell’appropriazione indebita.

 2.3. Gran parte dei delitti contro il patrimonio prevede, tra i requisiti costitutivi, l’altruità, ora della cosa (come oggetto di aggressione unilaterale), ora del danno patrimoniale (quale conseguenza dell’atto di disposizione). La loro funzione è negativa: escludere che il reato abbia ad oggetto res nullius o derelictae oppure offenda il patrimonio dell’agente.

 Si discute se l’altruità della cosa equivalga al diritto di proprietà da parte di soggetti diversi dall’agente oppure sia sufficiente il possesso o l’esistenza di un diritto di godimento o, addirittura, la mera detenzione nomine alieno. Parallelamente, rispetto al danno, ci si chiede se soggetto passivo del reato sia solamente il proprietario della cosa o anche il possessore, il titolare di un diritto di godimento o perfino il semplice detentore. La soluzione non può essere unitaria, ma dipende dall’interpretazione di ogni singola fattispecie incriminatrice.

 Per esempio, sotto la vigenza del disegno originario del codice, si riteneva che il proprietario non potesse rispondere del furto della cosa esclusivamente propria ai sensi dell’art. 624 c.p., perché sarebbe andato incontro a un trattamento sanzionatorio più severo di quello previsto dall’art. 627 c.p. per la sottrazione di cosa comune (quindi solo in parte sua). L’abrogazione di questa fattispecie, ad opera del d. lgs. n. 7 del 2016, riapre la questione, che va risolta in base ad argomenti di ordine generale, come la tendenza politico-criminale al potenziamento della procedibilità a querela, che sarebbe frustrata dalla moltiplicazione interpretativa dei soggetti passivi.

 A fortiori non commette furto colui che sottrae al ladro la cosa di sua proprietà. Il principio di coerenza dell’ordinamento giuridico “impedisce di accordare la tutela al prodotto di un’aggressione patrimoniale e al suo autore contro i terzi e lo stesso proprietario”@.

 2.4. La cosa tanto mobile, quanto immobile, rileva come oggetto materiale dei delitti contro il patrimonio che consistono in una aggressione diretta e unilaterale. Si pensi, per esempio, al furto, all’appropriazione indebita e al danneggiamento.

 Sul piano definitorio deve osservarsi l’estrema genericità del termine “cosa”, il cui impiego può essere così vario da rasentare l’indeterminatezza.

 L’aggettivazione “mobile” e “immobile” restringe la funzione denotativa del concetto di “cosa”, ma non in modo certo. Ne è una conferma l’esigenza, avvertita dall’art. 624, comma 2, c.p., equiparare alla cosa mobile l’energia elettrica e ogni altra energia avente valore economico. Lo stesso deve dirsi dell’art. 812 c.c., che contiene l’elencazione dei beni immobili e una di una definizione residuale di bene mobile. Si tratta, però, di parametri che non sono risolutivi in senso assoluto. Secondo un insegnamento pacifico, per esempio, è mobile la parte di una cosa immobile che è stata separata da quest’ultima e quindi mobilizzata@.

 In realtà è il contesto semantico che consente di riconoscere la cosa e la sua natura. Per esempio, nel delitto di furto la cosa mobile deve essere oggetto di “sottrazione” e “impossessamento”, espressioni che indicano, per opinione consolidata, lo spoglio del soggetto passivo e il contestuale trapasso di valore nel patrimonio del reo. Ciò esclude, nonostante la diversa opinione della giurisprudenza, che la cosa mobile del furto possa consistere in un file informatico, perché la sua copiatura non ne comporterebbe la sottrazione, ossia la perdita dell’oggetto da parte del detentore. D’altro canto, quand’anche l’originale del file venisse distrutto immediatamente dopo la sua duplicazione, tale condotta non potrebbe ricondursi allo schema dell’impossessamento da parte del reo, per mancanza di un trasferimento della cosa dal soggetto passivo all’agente. In breve: il contesto dell’art. 624 c.p. chiarisce che l’oggetto materiale del furto non può consistere in una cosa immateriale, senza forzare l’area dei significati correttamente estraibili dalla disposizione@.

 Diversamente deve dirsi della copiatura di un file da parte del possessore che lo detiene legittimamente. In questo caso, in presenza del danno patrimoniale e del fine dell’ingiusto profitto, il fatto può rientrare nella cornice dell’art. 646 c.p., perché la condotta tipica ivi prevista – l’appropriazione – è causalmente orientata, ossia incentrata sull’interversione del possesso.

 Quale che sia la sua natura mobile o immobile, la cosa deve avere un valore di scambio. Per l’orientamento prevalente, la cosa, segnatamente quella mobile, può aver anche soltanto un valore affettivo per il soggetto passivo, come la lettera di una persona cara. La questione, come si dirà a seguire, è strettamente collegata alla nozione di patrimonio.

 2.5. Alcune fattispecie contenute nel Titolo XIII c.p. si caratterizzano per l’espresso ancoraggio della tipicità al duplice evento del danno e del profitto (si pensi, per esempio all’estorsione e alla truffa). In altri reati il profitto costituisce l’oggetto del dolo specifico (si pensi al furto, alla rapina e all’appropriazione indebita). Il danno e il profitto possono rappresentare infine requisiti impliciti, come, per esempio nell’usura. In ogni caso la loro interpretazione dipende dalla nozione di patrimonio da cui si muove; una scelta, questa, che condiziona la dimensione valoriale di tali nozioni, incidendo sulla portata complessiva della tutela offerta dal sistema.

 Secondo l’impostazione prevalente in dottrina e giurisprudenza, il patrimonio sarebbe penalmente tutelato nella sua funzione strumentale alla piena realizzazione della persona, che ne è titolare. Questa strumentalità, però, anziché accorciare il raggio di azione del Titolo XIII c.p., lo estende in modo incontrollato includendo nel concetto di patrimonio entità il cui valore non è economico. Si è già detto della cosa mobile avente valore esclusivamente affettivo. Si può aggiungere adesso che in base alla nozione allargata di patrimonio, anche le parti del corpo rientrerebbero nel concetto di patrimonio, meritevole di tutela. Per questa via si è arrivati di recente a ravvisare il delitto di rapina nel prelievo di ovociti dall’utero di una donna, realizzato in ambiente clinico contro la sua volontà, da personale medico, “in quanto gli ovociti possono essere considerati ‘cose mobili’ nel momento in cui vengono distaccati dal corpo umano e da tale momento sono pienamente detenuti dalla donna, attesa la possibilità della stessa sia di utilizzarli che di donarli a coppie con problemi di sterilità, sicché gli stessi sono passibili di sottrazione e impossessamento”@. E ancora: sempre sulla base della concezione allargata di patrimonio il profitto consisterebbe in qualsiasi locupletazione anche di natura morale o sentimentale (v. infra 3.6.).

 Preferibile appare la concezione del patrimonio che restringe l’ambito della tutela agli interessi economicamente rilevanti sotto il profilo rigorosamente oggettivo@.

 2.6. In nome del principio di offensività deve escludersi la sussistenza del danno in presenza di diminuzioni patrimoniali oggettivamente irrilevanti, perché prive di valore di scambio. Si pensi al furto dell’acino d’uva o a casi similari.

 

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