testi ed ipertesti

Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta

6. L’interruzione o la turbativa di servizi pubblici: il delitto dell’art. 340 c.p.

 

 6.1. Il delitto previsto all’art. 340 c.p. salvaguarda il normale e continuo espletamento dell’attività propria della P.A. da forme di aggressione non tipizzate in altre figure criminose. La fattispecie in esame ruota infatti sull’interruzione o turbativa dell’ufficio o del servizio pubblico interessato, a nulla rilevando le concrete modalità esecutive. In secondo luogo, viene all’attenzione l’iniziale clausola di riserva («fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge»), che costituisce un chiaro indice di subalternità della fattispecie rispetto ad altre figure di reato che incriminino fatti di interruzione o turbativa delle pubbliche attività, come ad esempio quelle relative al c.d. – ma non proprio tale – «blocco» stradale, ferroviario o marittimo (v. art. 1, d.lgs. n. 66 del 1948), e ciò senza considerare quelle che possono “assorbire” le medesime condotte (v. artt. 432, 433, 355 c.p.). Infine, se non proprio a delimitare il campo applicativo più comune della figura criminis in oggetto, ma di certo a limitarne quello meno frequente, sta la disciplina costituzionale ed ordinaria dello sciopero nei servizi pubblici essenziali (v. art. 40 Cost e l. n. 146 del 1990), che assume qui precipua rilevanza, anche come limite scriminante. Va difatti considerato che l’art. 340 c.p. si presenta come reato comune, e che in tale veste esso risulta applicabile non solo anche a tutti i pubblici ufficiali, ma, specificamente, pure a quelli che prestano la propria attività nell’ambito del medesimo ufficio o servizio oggetto di interruzione o turbativa.     

 6.2. Come anticipato, la condotta si presenta a c.d. «forma libera». Da un punto di vista semantico, «interrompere» significa provocare la cessazione definitiva o temporanea, per un breve o lungo periodo, dell’attività di un ufficio o di un servizio, mentre il «turbare» sottintende il cagionare, per un lungo o breve arco di tempo, un intralcio al regolare funzionamento degli stessi. Naturalmente, l’applicazione pratica di tali concetti, di per sé molto comprensivi, deve essere più che mai improntata ad un ragionevole equilibrio, in considerazione, a tacere d’altro, sia del principio di offensività, che richiede la realizzazione di un pregiudizio effettivo per l’interesse tutelato, sia del criterio di esiguità, espressamente canonizzato dall’art. 131-bis c.p., che si oppone alla celebrazione di processi penali per fatti di minima consistenza offensiva. Ed invero, sia in dottrina che in giurisprudenza viene ricorrentemente precisato, ad esempio, che il pregiudizio arrecato deve riguardare l’intero ufficio o servizio coinvolto, e non soltanto una sua parte@, che esso deve protrarsi per un periodo di tempo significativo@, da valutare anche in relazione al tipo di attività pubblica coinvolta (un conto è l’interruzione per pochi minuti di una lezione universitaria, un altro è l’interruzione, per lo stesso arco di tempo, dell’attività di una sala operatoria o della direzione del traffico aereo), ovvero che esso deve consistere in una riduzione apprezzabile della funzionalità dell’ufficio o servizio, tale che ad essa la P.A. non possa fare prontamente fronte@.   

 6.3. Va infine segnalato che, all’originaria previsione che già sottoponeva a pene assai più severe i «capi, promotori od organizzatori» della procurata interruzione o turbativa del pubblico servizio, il legislatore del 2019 ne ha aggiunta un’altra, in evidente funzione di c.d. «anti-riots». Il nuovo secondo comma dell’art. 340 c.p., difatti, punisce con il doppio della pena prevista dal primo comma ogni condotta di interruzione o turbativa di un pubblico ufficio o servizio «posta in essere nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico».

 

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