Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
4. Le fattispecie di oltraggio: il delitto dell’art. 341-bis in particolare
4.1. Nel Capo II del Titolo II, Libro II del codice penale sono presenti tre fattispecie delittuose di oltraggio: quella, più generale, dell’art. 341-bis, rubricata «Oltraggio a pubblico ufficiale», e quelle più specifiche degli artt. 342 e 343, dedicate, rispettivamente, all’«Oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario» ed all’«Oltraggio a un magistrato in udienza». È tuttavia la prima figura di reato a catturare maggiormente l’attenzione, poiché essa presenta una struttura ed una risposta sanzionatoria che risulta più in linea con le forme e l’intensità della tutela del prestigio della P.A. e dell’onore degli agenti pubblici che la Costituzione parrebbe suggerire, in ragione, soprattutto, del diverso equilibrio tra libertà del cittadino ed attribuzioni della pubblica Autorità che la Carta fa proprio, e che appare diverso da quello immaginato dai codificatori del 1930.
Ed invero, i delitti degli artt. 342 e 343 c.p. risultano ritagliati sul modello criminoso più tradizionale dell’oltraggio, che tende storicamente a strutturare quest’ultimo come ipotesi soggettivamente speciale di ingiuria, sanzionata in modo più rigoroso esclusivamente per il fatto che l’offesa è diretta ad un soggetto investito di una qualifica pubblica, che per ciò solo meriterebbe una tutela più accentuata di quella riconosciuta al comune cittadino. Come meglio si dirà, la fattispecie dell’art. 341-bis c.p. sembra invece allontanarsi da questo paradigma, avendo il legislatore, per un verso, irrobustito e razionalizzato il disvalore del fatto tipico, che sempre meno somiglia ad una ingiuria qualificata unicamente sul versante del soggetto passivo, e, per l’altro, diversamente tarato la risposta sanzionatoria, sia in astratto che in concreto.
4.2. Se l’originario art. 341 c.p. aveva ricalcato la fattispecie di oltraggio a p.u. sul paradigma tradizionale dell’offesa da chiunque inflitta all’«onore o [a]l prestigio di un pubblico ufficiale, in presenza di lui e a causa o nell’esercizio delle sue funzioni», l’attuale art. 341-bis ha provveduto a conferire una nuova forgia al fatto tipico, puntualizzandone e moltiplicandone le capacità offensive: operazione, questa, tanto più indovinata ex post, se si considera che la fattispecie usualmente assunta a metro di confronto della sua ragionevolezza, ossia quella dell’ingiuria, nel 2016 è stata degradata ad illecito punitivo civile.
Volendo qui riassumere il discorso, quattro appaiono gli interventi operati sul fatto tipico destinati ad impattare significativamente sulla sua portata offensiva. In particolare, il legislatore ha provveduto:
a) sul piano dei soggetti passivi, a ridurne la rosa, considerato che esposto all’oltraggio risulta adesso il solo p.u., e non anche il «pubblico impiegato che presti un pubblico servizio», non essendosi né ripristinato il previgente art. 344 c.p., che a tale figura estendeva la tutela del delitto di oltraggio, né richiamato tale figura all’interno dell’art. 341-bisp., e ciò all’evidente scopo di contenere il raggio operativo della norma, che non a torto la precedente giurisprudenza applicava a tappeto;
b) sul piano della dimensione quantitativa dell’offesa recata dalla condotta, a stabilire che essa investa congiuntamente – e non più disgiuntamente, come avveniva in passato – sia l’onore che il decoro del p.u. Ne consegue che di oltraggio potrà parlarsi soltanto ove venga attinto sia l’insieme delle qualità morali, intellettuali, psichiche e fisiche intrinseche all’essere umano in quanto tale, che si ergano a valori costituzionalmente significativi ovvero non costituzionalmente incompatibili, sia il peculiare rispetto che compete a colui che, per le funzioni svolte, personifica l’Istituzione pubblica, assumendone perciò di riflesso il «prestigio»;
c) sul piano, ancora una volta, della dimensione quantitativa dell’offesa veicolata dalla condotta, a specificare che quest’ultima si svolga «in luogo pubblico o aperto al pubblico» ed «in presenza di più persone»: circostanze di luogo e soggettive, queste, che aumentano notevolmente la diffusività dell’offesa e quindi la complessiva carica di disvalore del fatto;
d) sul piano della dimensione qualitativa dell’offesa, a pretendere l’esistenza di un più specifico nesso funzionale tra la condotta del reo e l’espletamento dei doveri d’ufficio da parte del p.u., essendo ora espressamente previsto che la prima non solo si produca psicologicamente «a causa» delle funzioni svolte dal p.u. e temporalmente «nell’esercizio» delle stesse, come già pretendeva l’abrogato art. 341 c.p., ma anche – ed in modo assai più specifico – «mentre» questi compie un atto del proprio ufficio. Appare evidente come, richiamando un siffatto nesso di contestualità cronologica, il legislatore abbia voluto in qualche modo puntualizzare la tutela, spostandone ulteriormente l’asse verso la salvaguardia della libertà di svolgimento dell’azione amministrativa, più che su quella della persona del p.u., avendo infatti sagomato l’oltraggio come una sorta di “fatto oppositivo” al fluido espletarsi della funzione pubblica. Va da sé che, a maggiore ragione, sia oggi richiesta la presenza fisica del p.u. al momento della condotta.
4.3. Non meno rilevanti risultano gli interventi che il legislatore ha compiuto sulla punibilità “in concreto” del fatto oltraggioso, facilitando in particolare l’estinzione post crimen patratum del reato mediante due diverse soluzioni, senz’altro innovative in questo ambito. Da un canto, risulta infatti importato nella fattispecie qui in rilievo, pur con alcune specificità, l’istituto della c.d. «prova liberatoria», che, com’è noto, risultava tradizionalmente invocabile soltanto nei casi di ingiuria e di diffamazione (v. supra, Cap. XXII, § 4). Dall’altro, e con chiari intenti deflattivi, si è consentito al reo di estinguere il reato mediante la integrale riparazione del «danno» cagionato, che il legislatore ha precipuamente identificato nel risarcimento di esso «sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima».
179 di 207