Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
Capitolo XXVII | I delitti dei privati contro la Pubblica Amministrazione
di Gianfranco Martiello
1. Rilievi introduttivi
1.1. Nella prospettiva sistematica dei codificatori, le figure criminose racchiuse nel Capo II, Titolo II, Libro II c.p., dedicato ai «delitti dei privati contro la pubblica amministrazione» (artt. 336 ss.), avrebbero dovuto tutelare quest’ultima da aggressioni provenienti dall’esterno, ossia da soggetti ad essa estranei. Diversamente, le fattispecie del precedente Capo I, intitolato ai «delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione» (artt. 314 ss.), avrebbero dovuto salvaguardarla da condotte lato sensu “infedeli” di soggetti intranei alla stessa P.A., quali il «pubblico ufficiale», la persona «incaricata di un pubblico servizio» o le «persone esercenti un servizio di pubblica utilità». In particolare, e secondo l’intenzione del legislatore dell’epoca, nel porre al centro della tutela la P.A. che espleta i diversi suoi compiti istituzionali, una tale classificazione avrebbe dovuto sottolineare la diversità assiologica esistente tra il disvalore dei comportamenti illeciti di chi è investito di una qualifica pubblicistica e quello delle condotte antigiuridiche poste in essere da chi, invece, tale qualifica non rivesta: differenza, questa, fondata sulla maggiore gravità che andrebbe riconosciuta all’inosservanza di doveri istituzionali commessa da chi, invece, dovrebbe mostrare specchiata onestà proprio in ragione della qualifica rivestita.
Nondimeno, l’imprecisione di una tale sistematica era emersa già all’indomani dell’entrata in vigore del codice, ed oggi appare ancora più vistosa dopo gli innesti e le modifiche che il legislatore repubblicano ha operato sui delitti di cui agli artt. 336 ss. c.p. Da un canto, infatti, è agevole rinvenire entro il predetto Capo I fattispecie che individuano come autore del reato soggetti sprovvisti di qualifica pubblicistica, come dimostravano già gli originari artt. 327, comma 2 e 322 c.p., che si riferivano al «ministro di culto» che avesse eccitato al dispregio delle istituzioni ed a «chiunque» avesse istigato il p.u. alla corruzione, e come mostrano ancora più oggi i vigenti artt. 316-bis, 316-ter, 332 e 334 c.p. Dall’altro, è difficile negare – prescindendo dalla paradossalità logica di una tale evenienza – la possibilità che reati inclusi nel Capo II vengano di fatto commessi da soggetti dotati delle predette qualifiche pubblicistiche: circostanza, questa, peraltro confermata a livello normativo, se è vero che gli artt. 347, comma 2 e 349, comma 2, c.p. presuppongono all’evidenza l’operato di un pubblico agente.
1.2. Ma, al di là delle imprecisioni nelle quali, per vero, ogni classificazione può incorrere nell’aggregare realtà normative spesso molto complesse, altro è il dato da mettere in luce. Occorre soprattutto prendere atto di come il criterio dell’offesa al bene giuridico, che notoriamente fonda la diversa dislocazione codicistica dei reati, risulti condizionato da scelte per così dire “di prevalenza”, ovverosia dalla discrezionale valorizzazione di una piuttosto che di un’altra delle dinamiche offensive che uno stesso fatto può empiricamente innescare: scelte, queste, che risentono delle convinzioni ideologiche e politico-criminali dei vari legislatori storici. E la categoria dei delitti qui in rilievo non fa eccezione.
Invero, sebbene sia noto che, agli effetti penali, il concetto di «pubblica amministrazione» non debba qui intendersi in senso strettamente tecnico ma in una accezione assai lata, che lambisce addirittura la funzione giudiziaria e quella legislativa, appare chiaro come solo considerando tali “scelte di prevalenza” si spieghi il perché figure criminose indubbiamente capaci di perturbare l’operato della P.A. trovino collocazione al di fuori del citato Titolo II, e del Capo II in particolare. Si pensi, ad esempio, a fattispecie come quelle degli artt. 287 («Usurpazione di un potere politico o di comando militare») o 289 c.p. («Attentato contro organi costituzionali ed assemblee regionali»), che presentano innegabili somiglianze strutturali con reati a base usurpativa o violenta contenuti nel predetto Capo II, ovvero ad una buona parte di quei reati comuni in grado di fuorviare – turbandone così il «regolare andamento» – l’attività di quella parte di P.A. che si occupa di esercitare la funzione giudiziaria, come risulta chiaro dalla lettura degli artt. 366 ss. c.p. Ne consegue che, sebbene l’attività degli organi pubblici tutelata dai reati qui in rilievo risulti – lo si vedrà – tipologicamente variegata, la volontà di accentuare determinati e più specifici interessi, nonché la necessità di una più articolata distribuzione sistematica dei reati all’interno del codice, hanno portato il legislatore a ripartire in più Titoli figure criminose che, a ben vedere, riprovano fatti che vanno «contro» quella stessa «pubblica amministrazione» latamente intesa che qui rileva.
1.3. In conclusione, si è al cospetto di una classe di reati strutturalmente assai articolati ed in grado, potenzialmente, di offrire tutela al regolare svolgimento di un vasto spettro di attività proprie dello Stato-organizzazione, ma che a ben vedere ha finito per attrarre a sé gli interessi funzionali all’espletamento di tutte quelle residuali funzioni della P.A. che non sono state oggetto di più specifica considerazione da parte del legislatore.
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