Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
3. Il delitto di atti osceni in luoghi abitualmente frequentati da minori
3.1. Degradata da un canto, come già anticipato, la fattispecie delittuosa di «atti osceni» prevista dall’originario art. 527, comma 1, c.p. ad illecito amministrativo pecuniario, il d.lgs. n. 8 del 2016 ha dall’altro aumentato le pene del delitto previsto dal secondo comma della medesima disposizione codicistica, introdotto dalla l. 15 luglio 2009, n. 94, il quale, parafrasandone il fatto tipico, potrebbe essere denominato come «Atti osceni […] in luoghi abitualmente frequentati da minori o nelle loro vicinanze». In particolare, l’appena citato art. 527, comma 2, c.p. punisce oggi con la reclusione da quattro mesi a quattro anni e sei mesi chiunque commetta il fatto previsto dal primo comma – e cioè ponga in essere «atti osceni» – «all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori, se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano». Evidentemente, il legislatore ha ritenuto che il mantenimento di una sanzione penale detentiva a carico di chi compia atti osceni possa odiernamente giustificarsi solo a patto di orientare diversamente lo spettro di tutela della figura criminosa che la contempla, la quale parrebbe intesa a salvaguardare – in via anticipata, come si dirà – un bene giuridico diverso dal generico pubblico pudore. In particolare, l’impressione è che l’incriminazione qui in discorso sia volta a proteggere l’interesse a quel “regolare ed armonioso” sviluppo psico-sessuale del minore che – così parrebbe essere stato presunto – verrebbe invece compromesso dalla precoce visione di atti od oggetti aventi natura oscena@. Del resto, il legislatore ha già dato prova di ritenere meritevole di tutela penale il riserbo della sfera sessuale dei minori, allestendo, ad esempio, le fattispecie degli artt. 609-quinquies (ed in passato dell’art. 530) e 609-undecies c.p., che adesso parrebbero idealmente saldarsi, in una più estesa prospettiva di tutela del minore, con quella, appunto, dell’art. 527, comma 2, c.p.
Premesso che il riferimento all’«atto» non sembra vantare apprezzabili capacità selettive una volta collegato al concetto di osceno, alludendo genericamente ad ogni contegno fisico dell’uomo, ciò che oggi segna il confine tra reato ed illecito amministrativo, conferendo disvalore penale al fatto, è la specificità del luogo fisico nel quale la condotta spazialmente si colloca. Come si è anticipato, infatti, l’art. 527, comma 2, c.p. punisce la commissione dell’atto osceno che si svolga anzitutto – giusto il rinvio al «fatto», che non può che essere quello del primo comma – in un luogo considerabile come «pubblico», «aperto al pubblico» o «esposto al pubblico», ma che sia ulteriormente qualificabile come «abitualmente frequentat[o] da minori» o come sue «immediate vicinanze». Come appare evidente, non certo agevole si presenta per l’interprete tanto il definire quando un certo luogo possa dirsi, per l’appunto, «abitualmente frequentato da minori», quanto la inequivoca perimetrazione dell’ulteriore ed indefinito riferimento legislativo alle sue «immediate vicinanze».
3.2. Relativamente al primo dei profili problematici appena segnalati, la giurisprudenza sembra convergere quanto meno su alcune assunzioni di principio, anche se poi – giova sin d’ora anticiparlo – non sempre parrebbe trarre da esse conseguenze applicative del tutto univoche. La Suprema Corte ha comunque più volte ribadito che per «luogo abitualmente frequentato da minori […] non si intende un sito semplicemente aperto o esposto al pubblico dove si possa trovare un minore», bensì luoghi nei quali, «sulla base di una attendibile valutazione statistica, la presenza di più soggetti minori di età ha carattere elettivo e sistematico»@, tali essendo – come forse più chiaramente è stato specificato – sia quelli «riconoscibili come tali per vocazione strutturale (come le scuole, i luoghi di formazione fisica e culturale, i recinti creativi all’interno dei parchi, gli impianti sportivi, le ludoteche e simili)», sia quelli «per elezione specifica, di volta in volta scelti dai minori come punto abituale di incontro o di socializzazione, ove si trattengono per un termine non breve (come un muretto sulla pubblica via, i piazzali adibiti a luogo ludico, il cortile condominiale, ecc.)»@. Ne risulta che il reato previsto dall’odierno art. 527, comma 2, c.p. non potrà ricorrere laddove all’atto osceno abbia accidentalmente assistito un minore, dovendosi invece il fatto svolgersi in un luogo ove «è prevedibile (e non solo possibile), con giudizio prognostico ex ante, che siano presenti persone minori in quanto “abituate” a frequentarlo perché assiduamente ed appositamente in quel posto si recano o si incontrano»@: da qui, ad esempio, l’assoluzione tanto di un soggetto che aveva compiuto atti di autoerotismo all’interno della propria macchina, sia di un individuo intento a consumare in auto un rapporto sessuale con una prostituta, e ciò sul rilievo che in entrambi i casi i veicoli risultavano parcheggiati in pubbliche vie rispetto alle quali non era stata fornita specifica prova che esse fossero – appunto – «abitualmente frequentate da minori»@.
Come detto, sulla scorta delle indicazioni di principio appena riassunte la prassi ha proceduto ad identificare alcune precipue tipologie di luoghi da ritenersi, di norma, «abitualmente frequentati da minori». Così, ad esempio, tale qualifica è stata riconosciuta alle piscine aperte al pubblico, sul rilievo che esse «registrano certamente, sulla base dei dati dell’esperienza comune, una forte presenza di minori essendo i soggetti che per motivi prettamente ludici, legati alla stessa età infantile, sono fortemente attirati dalla possibilità di immergersi in acqua»@; ai parchi pubblici, purché dotati di altalena od altri giochi infantili, i quali renderebbero la presenza di minori fondata «sulla base di una attendibile valutazione statistica»@; ai reparti di un ipermercato «in cui [risultano] esposti articoli per fanciulli»@; agli «autobus di linea di una grande città abitualmente utilizzati […] da minori per gli spostamenti cittadini»@. Controversa, invece, risulta la rilevanza ex art. 527, comma 2, c.p. delle vetture ferroviarie, che sezioni diverse della Suprema Corte, pur muovendo dai medesimi assunti di principio poc’anzi richiamati, hanno prima negato@, per mutare tuttavia opinione più di recente@.
3.3. Quanto alla definizione delle «immediate vicinanze» rispetto ai luoghi suddetti, la giurisprudenza ha avuto sin qui modo di chiarire, ma solo “in negativo”, come tale riferimento normativo escluda la tipicità del fatto che si sia svolto «a distanza di 500 metri» dagli stessi@. Al di là della possibilità di fissare convenzionalmente, ed una volta per tutte, un suo preciso valore metrico-decimale, è forse auspicabile che la perimetrazione di tale prossimità rispetto ai luoghi abitualmente frequentati dai minori avvenga con il buon senso, tenendo presente sia le normali capacità cognitive dell’essere umano che la tipologia di atti osceni posta in essere dal reo, anche in considerazione della circostanza che la previsione delittuosa dell’odierno art. 527, comma 2, c.p. scolpisce una fattispecie di pericolo c.d. «concreto» (e non astratto, come nell’ipotesi del primo comma), avendo il legislatore espressamente richiesto che dal fatto «deriv[i] il pericolo» che i minori vi assistano.
A tale ultimo riguardo, peraltro, la prassi applicativa ha chiarito che, come è insito nella sua natura di fattispecie a consumazione anticipata, il delitto in questione non richiede che i minori abbiano avuto effettiva percezione degli atti osceni@, ma anche – e la specificazione non è da poco – che esso prescinderebbe dalla presenza di questi ultimi sul locus commissi delicti@, avendo ritenuto sufficiente che, sulla base di un giudizio ex ante, il giudice abbia ritenuto esistente una «significativa probabilità» che un minore avrebbe potuto trovarsi sul posto@. L’impressione però è che, così interpretato, il requisito del «pericolo», che letteralmente si aggiungerebbe alla particolare connotazione del luogo ove l’atto osceno è compiuto, tenda a coincidere con la “pericolosità” dello stesso locus commissi delicti, di cui già si è detto, perdendo così nei fatti la propria specifica capacità selettiva.
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