Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
7. L’offensività
7.1. Fin qui si sono considerati i criteri delimitativi del diritto penale legati alla formulazione del divieto e al suo più importante corollario ermeneutico, qual è il divieto di analogia.
Tra i caratteri del diritto penale ve ne sono alcuni, però, che assurgono a principi sostanziali, ossia contenutistici, di natura ora oggettiva, ora soggettiva.
A questo proposito viene in rilievo innanzitutto l’offensività. Si è già detto che i reati si caratterizzano per la loro gravità. Ciò significa che ledono interessi rilevanti, individuali o collettivi. La dottrina penalistica li definisce beni (o oggetti) giuridici. La vita, l’integrità, la libertà, il domicilio – solo per fare qualche esempio – sono offesi da reati come l’omicidio, le lesioni, il sequestro di persona e la violazione di domicilio.
Secondo un diffuso orientamento, l’offensività è un principio costituzionale implicito. Il primato della libertà personale stabilito dall’art. 13 Cost. consentirebbe al legislatore di ricorrere alla pena, per sua natura liberticida, solo al fine di tutelare beni di pari importanza costituzionale. L’incriminazione è legittima, dunque, quando l’oggetto giuridico è meritevole di tutela e quest’ultima risulta proporzionata tanto all’importanza dell’interesse presidiato, quanto all’entità della lesione arrecatagli. Occorre inoltre che l’ordinamento non disponga di altri strumenti di tutela ugualmente efficaci, dato che, a parità di effetto preventivo, deve preferirsi la sanzione extrapenale, meno afflittiva e “costosa”.
Da qui la conclusione secondo cui la pena può giustificarsi solo come extrema ratio (criterio della c.d. sussidiarietà). L’obiettivo perseguito è evidente: contenere l’ambito del diritto penale già sul piano dell’astratta previsione delle ipotesi di reato, favorendo, là dove possibile, l’impiego della sanzione amministrativa o di quella civile. Si tratta di una visione della tutela funzionalmente gradualistica e ideologicamente liberale. Il reato viene concepito anzitutto come tipico, poi anche offensivo, infine colpevole. La legalità e l’offensività assicurano la laicità del diritto penale, tracciando una chiara differenza di piani tra la scelta politico-criminale e lo stigma morale; la colpevolezza personalizza l’illecito in termini di appartenenza ed evitabilità.
7.2. Sennonché, a fronte dei buoni propositi e delle (forse ingenue) aspettative fiorite a margine della loro elaborazione, i principi di offensività e sussidiarietà hanno mancato l’obiettivo deflattivo e contenitivo. È di tutta evidenza, infatti, l’abnorme e costante espansione dell’intervento penale. Le istanze di tutela avvertite dal legislatore, reali o supposte che siano, hanno avuto la meglio sugli ideali di parsimonia punitiva immaginati nei laboratori culturali in cui hanno visto la luce i canoni dell’offensività e della sussidiarietà, rendendo manifesto che il legislatore non può considerarsi un destinatario fedele dei principi in questione, né il loro unico artefice. Indubbiamente vi sono reati offensivi di entità ben definite e preesistenti alle rispettive fattispecie incriminatrici. In molti altri casi, invece, è davvero difficile cogliere un autentico e tangibile bene giuridico, specie se superindividuale. Si tratta piuttosto di trasfigurazioni verbali del precetto. Si pensi all’ordine pubblico, che si ritiene comunemente offeso dall’associazione per delinquere: un’entità evanescente, non perché immateriale, ma perché concettualmente sfuggente e insuscettibile di essere offesa da condotte umane. Ne consegue che solo i beni giuridici culturalmente e logicamente “tangibili” consentono una verifica critica delle scelte di penalizzazione. Il bene privo di identità e di apprezzabilità vale quanto il bene inesistente, perché in entrambi i casi non è possibile giustificare la creazione legislativa di un divieto penalmente rilevante, come tale incidente su un bene primario e reale, qual è la libertà del cittadino.
7.3. Vero ciò, la teoria del bene giuridico, per quanto sia uno strumento imperfetto di legittimazione del diritto penale, svolge comunque una irrinunciabile funzione di indirizzo: contrastare la concezione del reato puramente formale, come violazione del divieto, oppure etica, come violazione della legge morale. In questa prospettiva il principio di offensività mantiene un valore culturale e pedagogico insostituibile, se non come criterio descrittivo dell’esistente penalistico, almeno come direttrice auspicabile e preferenziale di politica criminale.
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