Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
12. Prostituzione minorile
12.1. Al fine di conformarsi ai principi internazionali che prescrivono una tutela rafforzata della personalità del minore, con la l. n. 269 del 1998 il legislatore italiano ha introdotto nel nostro ordinamento diverse nuove fattispecie incriminatrici, ora contemplate agli artt. da 600-bis a 600-septies.
La prima di dette previsioni (art. 600-bis) disciplina due differenti ipotesi riconducibili ad un autonomo reato di prostituzione, volto a preservare il minore da tutte le forme di sfruttamento e mercificazione sessuale suscettibili di comprometterne l’equilibrato sviluppo fisico, psicologico, morale, affettivo e sociale. L’elemento comune ad entrambe le fattispecie in oggetto è rappresentato dal concetto di prostituzione, vale a dire dal compimento di prestazioni sessuali dietro corrispettivo. Si è, peraltro, precisato che “il reato di cui all’art. 600-bis c. p. non è escluso dalla modestia delle somme di denaro versate al minore, a titolo di mera gratificazione simbolica dell’attività sessuale offerta e non quale corrispettivo della prestazione sessuale, non rilevando l’entità, più o meno modesta, del pagamento, ovvero la soggettiva finalizzazione dello stesso, bensì l’oggettiva sinallagmaticità delle prestazioni, patrimoniali, da un lato, e sessuali, dall’altro”@.
In tema di prostituzione minorile, alla luce delle definizioni contenute nelle fonti internazionali, non si considera, invece, indispensabile ai fini della configurabilità del reato il requisito della reiterazione di atti sessuali mercenari. Tale ricostruzione, sostenuta da una parte della dottrina, parrebbe recepita anche dalla giurisprudenza, ad avviso della quale “il delitto di sfruttamento della prostituzione, che richiede la consapevole partecipazione, anche occasionale, ai guadagni che il minore si procura con il commercio del proprio corpo, non è un reato abituale, in quanto anche il singolo episodio di percezione del denaro o di altra utilità è idoneo ad integrarne gli estremi”@.
Tanto premesso le due menzionate ipotesi si differenziano in quanto la prima ha ad oggetto la condotta di chiunque recluta, induce alla prostituzione un minore o favorisce, sfrutta, gestisce, organizza o controlla la prostituzione o comunque ne trae in altro modo un qualche profitto. La seconda fattispecie sancisce, invece, la punibilità della condotta del cliente che compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di un corrispettivo in denaro o di altra utilità (non necessariamente economica), anche solo promessi. Quest’ultima ipotesi delittuosa, come si evince dalla clausola di riserva con la quale si apre il comma 2 dell’art. 600-bis (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”), ricorre soltanto laddove la condotta non integri altra e più grave fattispecie di reato.
12.2. Un aspetto particolarmente delicato che il reato di prostituzione minorile ha di recente sollevato consiste nel verificare se le condotte previste dall’art. 600-bis c.p. possano ritenersi integrate nelle ipotesi di prostituzione online. La dottrina sul punto è divisa. Secondo un primo orientamento, infatti, non sarebbe necessario ai fini della sussistenza del delitto de quo l’accertamento di un rapporto di contiguità tra il cliente e la vittima. Ma, secondo una diversa lettura l’estensione della nozione di prostituzione alla c.d. prostituzione online comporterebbe, invece, una distorsione interpretativa dell’archetipo normativo offerto dalla l. n. 75 del 1958, riconducendo, attraverso una non consentita interpretazione analogica, nell’ambito della prostituzione attività di tipo sostanzialmente rappresentativo, che presenterebbero piuttosto i connotati del concetto di pornografia.
In merito a siffatta questione la giurisprudenza ha, per parte sua, ritenuto che rientri nella nozione di prostituzione ogni attività sessuale, posta in essere dietro corrispettivo, anche se priva di contatto fisico tra chi si prostituisce e il fruitore della prestazione@. In tale prospettiva anche le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito che “l’elemento caratterizzante l’atto di prostituzione non è necessariamente costituito dal contatto fisico tra i soggetti della prestazione, bensì dal fatto che un qualsiasi atto sessuale venga compiuto dietro pagamento di un corrispettivo e risulti finalizzato, in via diretta ed immediata, a soddisfare la libidine di colui che ha chiesto o che è destinatario della prestazione, non essendo stato mai messo in dubbio che l’attività di chi si prostituisce può consistere anche nella esecuzione di atti sessuali di qualsiasi natura eseguiti su se stesso in presenza di chi ha chiesto la prestazione, pagando un compenso, al fine di soddisfare la propria libidine, senza che intervenga alcun contatto fisico tra le parti”@. La linea di confine tra prostituzione ed esibizioni pornografiche sarebbe, dunque, da ravvisare nell’elemento della interazione (peculiare della prostituzione e del tutto assente invece nell’esibizione pornografica) tra il fruitore della prestazione e il soggetto che si prostituisce, in modo che il primo possa richiedere a quest’ultimo il compimento di determinati atti sessuali@.
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