Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
4. La violenza sessuale mediante costrizione
4.1. Venendo alle forme di estrinsecazione della condotta tipica, l’attenzione degli interpreti si è per lo più concentrata sulla violenza sessuale per costrizione, posto che sui requisiti modali della violenza o della minaccia si erano appuntate numerose critiche già nei confronti del previgente dato normativo. La necessità di indici di costringimento legati a dati fattuali ulteriori rispetto al semplice dissenso della vittima parrebbe, infatti, imporre a quest’ultima il peso di un onere di resistenza oggi insostenibile sul piano culturale@. La celebre sentenza c.d. sui jeans (i cui passaggi argomentativi, peraltro, dopo la sua pubblicazione non sempre sono stati riportati con onestà intellettuale) costituisce emblematica rappresentazione di siffatta problematica@.
La giurisprudenza si è, peraltro, dimostrata vieppiù consapevole dei limiti della scelta legislativa, procedendo in via interpretativa, alla progressiva smaterializzazione dell’elemento tipico della violenza, cui è conseguito l’emergere del dissenso, o anche del semplice mancato consenso, della vittima come vero fulcro del disvalore del fatto@. Si è così progressivamente affermato il concetto di “violenza implicita” o “potenziale”, per estendere la portata applicativa della fattispecie ad ipotesi in cui semplicemente sussistano particolari circostanze di tempo e di luogo che inducano la vittima a non opporre alcuna resistenza. In tale prospettiva si è, per esempio, affermato che “il reato di violenza sessuale si configura anche nel compimento di atti sessuali repentini, compiuti improvvisamente all’insaputa della persona destinataria, in modo da poterne prevenire la manifestazione di dissenso”@.
Sennonché, la dilatazione della fattispecie incriminatrice, sia pure indotta dall’esigenza di soddisfare comprensibili esigenze di tutela, appare problematica in relazione al principio di determinatezza, posto che ha finito per trasformare una fattispecie a condotta vincolata in un reato a condotta libera, elidendo, di fatto, elementi essenziali della tipicità@.
4.2. Accanto alla violenza e alla minaccia il primo comma dell’art. 609-bis c.p. contempla, come ulteriore modalità realizzativa dell’illecito, l’abuso di autorità. Il riferimento è ad una situazione di potere che l’agente può esercitare sulla vittima, sì da coartarla ad assecondare determinati comportamenti nel timore di conseguenze pregiudizievoli che potrebbero derivarle da un rifiuto. La coercizione non può, però, essere desunta, in via meramente presuntiva, sulla base della posizione autoritativa ricoperta dal soggetto agente, posto che l’abuso può assumere rilevanza solo nella misura in cui abbia effettivamente condizionato la volontà del soggetto passivo funzionalmente al compimento dell’atto sessuale. Di recente le Sezioni Unite della Cassazione hanno, peraltro, precisato che, “in tema di violenza sessuale, l’abuso di autorità che costituisce, unitamente alla violenza o alla minaccia, una delle modalità di consumazione del reato previsto dall’art. 609-bis c. p., presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali”@, respingendo in tal modo l’interpretazione che intendeva circoscrivere l’abuso di autorità solo a posizioni autoritativa di tipo formale e pubblicistico@.
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