Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
2. Il bene giuridico protetto
2.1. Secondo una parte consistente della recente dottrina, la libertà personale tutelata dalle fattispecie codicistiche dovrebbe essere intesa non solo, e non tanto, come libertà “di” (agire, muoversi, spostarsi, ecc.), ma come libertà “da” (misure coercitive sul corpo)@. Il sequestro di persona non implicherebbe, cioè, che sia impedito il movimento autonomo, ma che sia imposto coercitivamente un ambito spaziale circoscritto, andando in tal modo ad incidere su una prerogativa propria di ogni individuo, dunque anche di soggetti già detenuti o internati, oltre che di soggetti privi della capacità di locomozione autonoma. “Chiunque può risultare soggetto passivo di un sequestro: infanti e dementi, comatosi e deliranti, dormienti e paralitici, tutta la fantasmagorica corte dei miracoli tratteggiata dalla casistica dottrinaria, si ricompone nell’indistinta unità della «persona umana», la cui libertà da misure coercitive sul corpo è sempre e comunque garantita e tutelata. Al banco di prova di questo valore, non conta la forza delle gambe, e tutti sono – grazie al cielo – perfettamente uguali”@.
2.2. Nondimeno, a ben vedere, siffatta tesi, senza dubbio “ben intenzionata” e mossa dalla sensibilità di offrire una ricostruzione dell’oggettività giuridica protetta conforme al principio costituzionale personalistico-egualitario desumibile dall’art. 13 Cost., parrebbe evidenziare aporie sotto un duplice profilo. Da un lato, essa porterebbe a configurare il delitto di sequestro di persona anche in ipotesi nelle quali il soggetto passivo della condotta, in quanto del tutto incapace, non sarebbe in grado di percepire l’offesa (cui prodest?) e sarebbe, del pari, privato di ogni potere in merito alla prestazione di un eventuale consenso scriminante (si tratterebbe, dunque, di una tutela irragionevolmente “ad oltranza”). Dall’altro lato, detta tesi, nei confronti dei soggetti capaci di intendere e di volere, ma privi di un’autonoma capacità di locomozione, potrebbe portare a sovrapporre la tutela della libertà personale con quella della libertà morale. Infatti, se un tale soggetto venisse trasportato o collocato, contro la sua volontà, in un luogo piuttosto che in un altro, verosimilmente il fatto andrebbe più correttamente ricondotto ad una “invasione” della sua sfera di autodeterminazione, piuttosto che ad una limitazione della libertà personale (già completamente compromessa). Peraltro, neppure la rinuncia alla configurabilità del sequestro di persona nella prima tipologia di casi (relativi a soggetti completamente incapaci) sembrerebbe aprire irragionevoli vuoti di tutela, posto che l’ordinamento contempla comunque altre fattispecie incriminatrici (si pensi, a titolo esemplificativo, alla sottrazione di persone incapaci, di cui all’art. 574 c.p.) suscettibili di coprire il disvalore del fatto.
Tanto premesso, parrebbe allora preferibile circoscrivere l’integrazione della fattispecie di sequestro di persona solo nei confronti di soggetti che dispongano di un’autonoma e cosciente capacità di locomozione, piena o quantomeno parziale.
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