Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
7. Le cause di giustificazione
7.1. Il profilo più problematico della diffamazione è quello che riguarda l’operatività delle cause di giustificazione.
Nulla quaestio per quanto riguarda la scriminante del consenso dell’avente diritto, ai sensi dell’art. 50 c.p. La sua sicura operatività discende dall’essere l’onore un bene disponibile.
Più complessa è l’individuazione del raggio di azione dell’esercizio di una facoltà legittima, di cui all’art. 51 c.p. Vengono qui in rilievo attività che possono incidere negativamente sulla reputazione, come il diritto di informazione, critica e censura.
7.2. Iniziando dall’attività giornalistica, il delicato bilanciamento tra il diritto all’informazione e la tutela di un bene personalistico, qual è la reputazione, vede la prevalenza del primo sul secondo solo in presenza di notizie che rivestano interesse pubblico. Quest’ultimo concetto è più articolato di quanto non appaia a prima vista, perché la sua oggettività presenta indubbi margini di opinabilità. Il suo accertamento non può che avvenire, dunque, in base a una valutazione di tipo presuntivo. Ma non è tutto: a fronte di notizie di sicuro interesse generale, perché relative alla vita sociale e istituzionale, ve ne sono altre che possono interessare un pubblico più ristretto. Si pensi a un periodico di letteratura dove si dà notizia che il romanzo di un autore debuttante è stato escluso da una competizione per opere prime, in quanto parzialmente copiato. L’interesse pubblico può dipendere, infine, esclusivamente dalla notorietà della persona oggetto della notizia, come nel caso di un personaggio televisivo. Per gli appassionati del genere, assumono rilievo anche le disavventure coniugali analiticamente riportate dalla stampa c.d. rosa e scandalistica. Anche la calvizie incipiente può assumere interesse pubblico se riguarda la chioma di un attore, di uno sportivo, di un politico e via discorrendo. Chi accetta le luci della notorietà deve mettere in conto la curiosità pubblica. In applicazione di questi principi, è stata ravvisata la diffamazione nello scritto autobiografico di un personaggio di rilievo pubblico, che riportava notizie disonoranti sulla vita privata di un suo familiare (nella specie l’ex moglie) non mediaticamente esposto, non rivestendo tali notizie oggettiva utilità ed interesse sociale@.
Un altro requisito scriminante del diritto di cronaca e segnatamente di quella giudiziaria è costituito dalla veridicità della notizia. Se non è possibile controllare la sua rispondenza al vero, è necessario che quantomeno essa provenga da fonti attendibili.
Infine la notizia deve essere data con un linguaggio appropriato e di per sé non offensivo. Si parla a questo riguardo di continenza, per indicare l’adeguatezza della forma espressiva.
7.3. La critica, quale interpretazione dell’esistente, è la cifra della cultura occidentale moderna anche quando ha ad oggetto le varie forme di autorità. Non vi è materia che le è sottratta. Da qui le innumerevoli forme che essa assume: si parla di critica politica, storica, letteraria, cinematografica, scientifica, ecc.
La critica presuppone che il suo oggetto sia noto. Valgono, per la sua giustificazione, i criteri dell’interesse pubblico, della verità e della continenza, requisito, quest’ultimo, da intendersi con minore rigidità perché la critica non si limita alla comunicazione di un fatto, ma si estende alla sua valutazione. Sono consentite, pertanto, espressioni ironiche e graffianti.
La satira è la massima espressione del diritto di critica. La sua tradizione culturale la vuole mordace e tagliente@. Può avere ad oggetto istituzioni, comunità o singole persone. In quest’ultimo caso la flessione della continenza deve essere compensata dalla particolare importanza sociale del suo bersaglio@. Per farsi perdonare la sua ferocia, la satira, quando ha ad oggetto una persona individuata, deve puntare dal basso verso l’alto sociale, non il contrario.
La critica può anche viaggiare dall’alto verso il basso. Si pensi al giudizio scolastico o all’attività della magistratura. Fondamentali sono, nel primo caso, la rispondenza al vero e la continenza; nel secondo anche l’interesse pubblico.
La censura è espressione dell’esercizio del potere disciplinare, il cui esercizio può assimilarsi agli scritti e ai discorsi dei magistrati, requirenti o giudicanti, nello svolgimento delle loro funzioni.
7.4. Dispone il primo comma dell’art. 598 c.p. che non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all’Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi a un’Autorità amministrativa, quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo. Soggiunge il capoverso che il giudice, pronunciando nella causa, può, oltre ai provvedimenti disciplinari, ordinare la soppressione o la cancellazione, in tutto o in parte, delle scritture offensive, e assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale. Qualora si tratti di scritture per le quali la soppressione o cancellazione non possa eseguirsi, è fatta sulle medesime annotazioni della sentenza.
Secondo l’orientamento maggioritario l’art. 598 c.p. prevede una causa di non punibilità@, impropriamente denominata “immunità giudiziaria”. La sua operatività non farebbe venire meno il carattere illecito dell’offesa alla reputazione, come attesterebbero le conseguenze sanzionatorie di natura disciplinare e risarcitoria.
La sua ratio è quella di assicurare la massima libertà di parola alle parti processuali, quale condizione di un pieno ed effettivo diritto di difesa. Sotto questo profilo, il principio affermato all’art. 24 Cost. impone una lettura dell’art. 598 c.p. più estesa di quella concernente la scriminante dell’esercizio del diritto ai sensi dell’art. 51 c.p., il cui effetto liceizzante è radicale. Più precisamente l’art. 51 c.p. opererebbe in presenza di affermazioni diffamatorie vere e rispettose del requisito della continenza. L’art. 598 c.p., invece, riguarderebbe anche fatti non veri ed espressioni di per sé offensive. Secondo una contrastata e opinabile giurisprudenza, però, altro è la critica del provvedimento, altro è la critica del suo autore; quest’ultima non sarebbe consentita@.
Si ritiene, inoltre, che l’art. 598 c.p. trovi applicazione anche nei casi in cui l’offesa sia contenuta in un atto stragiudiziale, purché prodromico a successive iniziative giudiziali@.
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