Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
2. La divulgazione
2.1. La “comunicazione con più persone”, comunemente denominata “divulgazione”, implica che l’addebito offensivo abbia almeno due destinatari. La divulgazione deve essere opera diretta del reo, per cui, contrariamente a quanto affermato@, non è sufficiente che l’agente comunichi con una sola persona ma con modalità tali che detta notizia venga sicuramente a conoscenza di altri (nel caso di specie l’imputato aveva definito stupido e incapace l’avvocato della sorella rivolgendosi ad una collaboratrice del legale).
Indifferente è invece la forma, che può essere scritta o orale, e prescinde da una modalità prestabilita. Anche la frase scherzosa o ironica è idonea a costituire reato. La divulgazione può essere contestuale o avvenire in momenti diversi. In tal caso è la seconda comunicazione che segna il momento consumativo del reato.
2.2. Affinché sia tipica, la comunicazione deve essere percepita e compresa dai destinatari. Ciò significa che non basta la sua captazione sensoriale, ma occorre la cognizione del suo significato offensivo. Si dibatte, a quest’ultimo proposito, se la comprensione debba essere effettiva o potenziale. Si faccia il caso dell’offesa divulgata in una lingua sconosciuta ai destinatari o con un linguaggio in codice.
A fronte delle tesi opposte, l’una che esclude sempre il reato, l’altra che lo ammette in ogni caso, è preferibile la soluzione intermedia che ritiene tipica anche l’affermazione il cui significato può essere compreso dai destinatari attraverso un’apposita attività o l’aiuto di terzi (come nel caso di un testo scritto in lingua poco nota che, al fine di poterlo leggere, viene fatto tradurre dai suoi destinatari).
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