Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
Capitolo XXII | La diffamazione
di Fausto Giunta
1. Premessa
1.1. Il capo II del titolo XII c.p. prevedeva in origine una coppia di reati contro l’onore tra loro alternativi e complementari: l’ingiuria (art. 594 c.p.), consistente nell’offesa del soggetto passivo presente; la diffamazione (art. 595 c.p.), caratterizzata dall’assenza dell’offeso. Il d.lgs. n. 7 del 2016 ha depenalizzato l’ingiuria pur senza espungerla dal codice penale@. Quanto alla diffamazione, la sua devoluzione alla giurisdizione di pace ha inciso sul trattamento sanzionatorio@. Fa eccezione l’ipotesi aggravata dal mezzo della stampa (art. 595, comma 3, c.p.), rimasta di competenza del giudice ordinario. Ne consegue che oggi la tutela dell’onore è presidiata penalmente dalla sola fattispecie della diffamazione, la quale, a sua volta, si è come sdoppiata in due sotto-fattispecie sensibilmente diverse non già sul piano della struttura, che è la stessa, bensì su quello del disvalore, della disciplina processuale e della risposta sanzionatoria.
1.2. Commette diffamazione chi, comunicando con più persone, offende la reputazione di una persona che non è presente al momento del fatto e, pertanto, non può replicare nel medesimo contesto spazio-temporale.
Il divieto penale pone un limite alla libera manifestazione del pensiero, quando essa è lesiva dell’onorabilità del soggetto passivo. È fuori discussione, infatti, che la reputazione sia un valore della persona di rilevanza costituzionale@. Nondimeno, in presenza di un interesse pubblico all’informazione o all’espressione lesiva, la libertà di manifestazione del pensiero può consentire l’affermazione disonorante sub specie di scriminante dell’esercizio di un diritto ai sensi dell’art. 51 c.p. Sul punto si avrà modo di tornare.
Al momento è necessario concentrarsi sulla struttura dell’incriminazione. In particolare, va precisato meglio il requisito negativo del reato. Si è detto che il soggetto passivo non deve essere presente. Ebbene, la fattispecie dell’ingiuria, anche se non costituisce più reato, contribuisce a chiarire questo aspetto. Essa, infatti, equipara alle ingiurie in presenza del soggetto passivo, quelle rivolte, “mediante comunicazione telegrafica o telefonica o con scritti o disegni diretti alla persona offesa”. Si può dire pertanto che quel che conta, ai fini dell’ingiuria, è che l’espressione lesiva dell’onore sia diretta al soggetto passivo, fisicamente presente o meno. Pertanto, costituirà ingiuria, e non diffamazione, l’offesa arrecata al soggetto passivo in occasione di una videochiamata alla quale partecipano anche altre persone. Suona ambigua, pertanto, una recente pronuncia della Suprema Corte secondo la quale costituirebbe diffamazione, e non ingiuria aggravata, l’invio di una e-mail, dal contenuto offensivo, avente come destinatari sia l’offeso, sia altre persone@. Breve: per aversi diffamazione, non basta l’assenza fisica dell’offeso, ma occorre che l’affermazione lesiva della reputazione non lo veda nemmeno tra i suoi destinatari diretti.
1.3. Ci si chiede se la diffamazione costituisca o meno di un reato di evento.
Secondo un orientamento consolidato e condivisibile, l’onore è un attributo della persona indipendentemente dalla circostanza che tale qualità le sia effettivamente riconosciuta nell’ambiente sociale. Anche il peggiore degli uomini è titolare di un’irriducibile onorabilità in quanto persona umana. Non si richiede che la reputazione sociale dell’offeso risulti diminuibile o effettivamente diminuita a causa dell’affermazione disonorante. Del resto, questa verifica sarebbe difficile da effettuare in concreto, specie ove l’agente si rivolga a una moltitudine di persone.
Soggetto passivo della diffamazione può essere chiunque, anche la persona giuridica. Non vi sono ragioni né testuali, né logiche per escludere la sua reputazione dal raggio di azione della tutela penale@.
La condotta, però, deve risultare potenzialmente idonea a gettare discredito sull’offeso. Si tratta di una valutazione da effettuarsi in base al sentire comune, del quale il giudice si fa interprete con l’obbligo di motivazione. Ne consegue che l’offesa alla reputazione, di cui parla l’art. 595 c.p., è un elemento normativo c.d. sociale@.
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