Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
2. Abbandono di persone minori o incapaci
2.1. L’art. 591 c.p. prevede due distinte fattispecie incriminatrici parificate sotto il profilo sanzionatorio.
2.2. La prima ipotesi di reato punisce chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura (comma 1).
Si tratta di un reato proprio. Il soggetto attivo, infatti, deve essere gravato da un dovere di custodia o cura nei confronti del soggetto passivo. Il codice penale non indica direttamente le fonti dell’obbligo. La loro individuazione è rimessa all’interprete, attraverso un ampio e generale rinvio alle varie posizioni di garanzia previste dall’ordinamento giuridico. Procedendo a un’esemplificazione, vengono in rilievo non solo genitori, tutori, amministratori di sostegno, insegnanti, personale di residenze sanitarie assistenziali (RSA) e via dicendo, ma anche i soggetti delegati dai garanti originari, come baby sitter, badanti, ecc.
Il soggetto passivo può essere alternativamente il minore di quattordici anni o l’incapace di provvedere a se stesso, quale che sia la causa. Quest’ultima precisazione rende necessaria la verifica in concreto delle condizioni del soggetto passivo. La lettera della legge sembrerebbe limitarla alla sola condizione di incapacità. La ratio della fattispecie, invece, porta a estenderla al minore di quattordici anni, onde evitare una eccessiva formalizzazione della tutela. La giurisprudenza, pur convergendo su questo accertamento, ne annacqua la funzione selettiva accontentandosi del pericolo meramente potenziale@. Sennonché, il pericolo è per definizione potenzialità di lesione. Il principio di offensività impone di uscire da questa ambiguità. Deve ritenersi, pertanto che, pur senza richiedere un pericolo concreto per la vita o l’incolumità personale, la fattispecie in esame operi nei casi in cui, in base a una prognosi a base parziale@, fondata sulle circostanze di fatto conosciute dall’agente, l’incapacità del soggetto passivo risulti significativamente deficitaria rispetto alla concreta situazione ambientale che è lasciato ad affrontare da solo@. Secondo le regole generali, l’onere della prova grava sull’accusa.
Quanto alla condotta, il concetto di abbandono evoca un comportamento naturalisticamente commissivo (come nel caso dei genitori Pollicino che, secondo la nota fiaba, portano i figlioletti nel bosco per lasciarli al loro destino)@. Sennonché, non bisogna confondere la natura omissiva del difetto di assistenza con il momento commissivo dell’omissione, che consiste nell’aliud agere. In realtà la condotta di abbandono ha natura normativa; ciò che viene punita è la mancata o l’insufficiente protezione del minore o dell’incapace, che può realizzarsi anche in assenza di un allontanamento fisico del garante (si pensi al genitore che, pur convivendo con il soggetto passivo, non se ne curi lasciandolo in balia di se stesso). Da questa angolazione si coglie chiaramente che si tratta di un reato omissivo proprio.
Per esempio, non risponderà del reato il genitore che consenta al minore di quattordici anni di recarsi da solo a scuola e di far ritorno a casa non accompagnato. Decisive saranno, però, le condizioni di maturità del minore, la vicinanza dell’edificio scolastico e il livello di sicurezza del percorso. Indicativo degli eccessi rigoristici della giurisprudenza, ma superfluo in quanto assertivo dell’ovvio, è l’art. 19-bis del d.l. n. 148 del 2017, convertito in l. n. 172 del 2017, secondo il quale i genitori, i tutori ed i soggetti affidatari dei minori di 14 anni, in considerazione dell’età, del grado di autonomia e dello specifico contesto, possono autorizzare le istituzioni scolastiche a consentire l’uscita autonoma al termine dell’orario scolastico, esonerando il personale scolastico dalla responsabilità connessa all’obbligo di vigilanza.
Considerazioni analoghe valgono per la madre, dedita all’accattonaggio, che nelle ore diurne colloca il figlio di nove anni in una via molto frequentata, affinché chieda l’elemosina, a contatto visivo con il lato opposto della via, dove anche lei esercita la questua. L’educazione del minore a svolgere questa attività, per quando discutibile sul piano morale e giuridico, consente di affermare che il minore sia in grado di autogovernarsi sotto lo sguardo vigile della madre.
Il dolo è generico: l’agente deve volere la mancata assistenza del soggetto passivo, nella consapevolezza della sua inadeguatezza rispetto alla situazione ambientale nella quale verrà a trovarsi.
2.3. Il secondo comma dell’art. 591 c.p. assoggetta a pena chi abbandona all’estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro.
Anche questo è un reato proprio omissivo: il soggetto attivo, infatti, può essere solamente l’affidatario del minore di anni diciotto; il concetto di abbandono è normativo, nei termini che si sono chiariti in relazione all’ipotesi di reato prevista dal primo comma.
Secondo l’orientamento prevalente, si tratterebbe di un pericolo presunto, nel senso che la pericolosità è implicita nell’abbandono. Formulata in questi termini, la presunzione è di dubbia ragionevolezza. Anche qui bisognerà guardare al rapporto tra la maturità del minore degli anni diciotto e la situazione ambientale nella quale viene a trovarsi. Non sussisterà il reato, per esempio, nel caso in cui l’allenatore, a seguito di un diverbio, si allontani dall’atleta diciassettenne a lui affidato, dopo avergli consegnato, in prossimità dell’aeroporto, il biglietto aereo per il rientro a casa e denaro a sufficienza per eventuali necessità.
Il dolo consiste nella consapevolezza della minore età del soggetto passivo e la volontà di lasciarlo nell’incapacità di badare a sé stesso.
2.4. Per entrambi i reati sono previste due circostanze aggravanti ad efficacia speciale, che scattano quando dal fatto deriva rispettivamente una lesione personale o la morte.
L’ultimo comma contempla una circostanza a efficacia comune per il reato commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall’adottante o dall’adottato.
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