Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
3. La “norma generale di libertà”
3.1. Per il principio di matrice liberale sopra evocato, ciò che non è vietato è consentito. Da questa premessa – che funge da norma di chiusura, perché disciplina quanto non espressamente previsto – discende che i divieti, pur essendo socialmente necessari, hanno carattere di eccezione. Alla base del sistema, dunque, sta una “norma generale esclusiva”, per la quale le condotte non vietate non sono tollerate, bensì pienamente permesse.
Costituendo i divieti delle deroghe alla “regola” della libertà, la loro espressa previsione si rende indispensabile.
Inoltre, l’imposizione del divieto deve essere giustificata, mentre lo stesso non vale per la libertà di agire, che è un diritto a-causale, nel senso che risultano irrilevanti le motivazioni sottese al suo concreto esercizio. Con altre parole: la libertà di sedersi sulla panchina di un giardino pubblico è assicurata con pari pienezza indipendentemente dalla circostanza che chi si sieda sia affaticato, voglia leggere il giornale, si prefigga di oziare o altro; ossia dalla meritevolezza degli scopi individuali.
In breve: la completezza del sistema punitivo, ossia la sua non integrabilità in via interpretativa, è una scelta ideologica, che diventa principio regolativo; il non vietato non può che ricadere nell’ambito irriducibile della liceità.
3.2. Le obiezioni che solitamente si muovono alla teoria della “norma generale di libertà” sono condizionate dall’angolo visuale prescelto, perlopiù quello della codificazione civile. Si contesta, in particolare, che la mancanza di una specifica norma possa portare il giudice a respingere la pretesa attorea. Questo epilogo – si precisa – condurrebbe a una conclusione inaccettabile, perché ciò che non è vietato diventerebbe tutelato contro chiunque voglia impedirlo. Si aggiunge che se si fosse coerenti sarebbe impossibile condannare non solo nell’ipotesi di completa mancanza di norme su quel caso, ma anche nell’ipotesi di oscurità normativa@.
Orbene, nella materia penale l’epilogo paventato è del tutto fisiologico: in mancanza di un divieto esplicito, il giudice deve disattendere l’eventuale richiesta punitiva dell’accusa, senza che ciò appaia in alcun modo disfunzionale. La libertà gode, infatti, della massima tutela (anche penale) sotto il profilo sia fisico, che morale.
Da qui la conclusione che la norma generale esclusiva, quand’anche priva di valore assoluto, opera appieno nel nostro settore, sub specie di “norma penale esclusiva”. Essa esprime la completezza regolativa dell’ordinamento penale, ossia la sua necessaria incompletezza precettiva.
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