Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
4. Il suicidio medicalmente assistito
4.1. Si è già detto dei recenti interventi della Consulta sulla ritenuta illegittimità dell’art. 580 c.p., limitatamente ai casi di agevolazione dell’altrui suicidio medicalmente assistito (cap. 11, § 5)@.
Si tratta di situazioni estreme per le quali Friedrich Nietzsche scriveva: “esiste un diritto per il quale togliamo la vita a un uomo, ma non uno per il quale gli togliamo la morte; ciò è pura crudeltà”@.
La Corte ha ritagliato un circoscritto ambito di situazioni nelle quali la punizione di chi facilita il suicidio del paziente (il riferimento è soprattutto alla figura del medico) finisce per incidere negativamente sull’effettività di fondamentali diritti della persona affetta da patologie irreversibili e di sofferenze insostenibili.
La Consulta è molto attenta a evitare prese di posizioni radicali in ordine alla questione della liceità o meno del suicidio in sé, accreditando tuttavia la tesi della sostanziale illiceità; chiarisce che il thema decidendum non è la disponibilità del bene della vita, ma solo un profilo, estremo e assai drammatico, del fine-vita. Il riferimento è all’autodeterminazione del paziente affetto da malattia irreversibile e fonte di grandi sofferenze.
Detto altrimenti, l’angolazione da cui la Consulta esamina il problema non è quella dei diritti della persona in termini generali, inclusivi o meno della scelta tra vivere e morire, ma il diritto di abbandonare il proprio corpo quando diventa una dolorosissima prigione, un’entità solamente e totalmente costrittiva, e la rinuncia alla vita il solo mezzo di evasione da una condizione suscettibile di essere considerata inumana (ovviamente non da tutti e necessariamente, ma quel che conta è il punto di vista di chi la sperimenta in prima persona, quando non è meramente soggettivo e opinabile).
4.2. Sebbene vita e morte siano opposti che non ammettono mediazioni, il suicidio medicalmente assistito non sarebbe espressione della libertà di morire, ma della libertà dall’abnormità del patire, nella premessa che la sofferenza non sia un dovere incondizionato. Quando la malattia rende il paziente incapace di ogni movimento, senza un aiuto esterno (in quanto penalmente vietato) non ci sono né libertà, né diritti.
In breve: la Consulta riconosce che la libertà di scelta del paziente non si esaurisce nell’accettazione o nel rifiuto delle cure, ma si estende, seppure in casi eccezionali, all’opzione per il morire, riconoscendo il diritto a veder soddisfatta la propria decisione attraverso la condotta di un terzo che anticipi la verificazione dell’evento; condotta, per l’appunto, che deve essere riconosciuta lecita perché conforme a Costituzione@.
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