Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
3. Lo stato vegetativo permanente
3.1. Il paziente in stato vegetativo permanente è vivo dal punto di vista biologico e giuridico. L’irreversibilità della condizione di incoscienza consente di affermare invece che è definitivamente cessata la sua vita biografica, posto che le probabilità di ripresa delle funzioni superiori sono insignificanti. Va ricordato, poi, che lo stato vegetativo permanente non è necessariamente terminale, come dimostra l’esperienza di malati che trascorrono mesi e addirittura anni in tale condizione, prima che sopraggiunga la morte.
È quest’ultima una constatazione che deve far riflettere. I costi economici connessi al prolungamento del sostentamento di pazienti in stato vegetativo permanente sono elevati e, con i progressi delle moderne pratiche di rianimazione, una siffatta situazione di stallo nella partita tra vita e morte rischia di gravare significativamente sul bilancio della sanità pubblica e, indirettamente, sull’attuazione del diritto alla salute dei cittadini che sono portatori di altre patologie, aventi prognosi favorevoli e bisognose di cure parimenti costose. D’altro canto, la tentazione di applicare a una materia così delicata i princìpi dell’analisi economica del diritto ben può risolversi in una caduta di effettività dei diritti dei soggetti in stato vegetativo permanente.
3.2. Tutto ciò precisato, occorre distinguere a seconda che il paziente abbia manifestato o meno, prima della perdita della coscienza, delle volontà circa il trattamento cui essere sottoposto con il sopravvenire dello stato di incoscienza. Ancora una volta sarà il paziente a decidere, seppure sulla base di un volere espresso allora per ora.
Resta da considerare la disciplina giuridica dello stato vegetativo permanente nell’ipotesi del paziente che non ha espresso alcuna volontà in ordine al proprio trattamento. Ci si chiede, in particolare, se quest’ultimo possa interrompersi tanto nel caso di sostentamento artificiale in vita, quanto nell’ipotesi in cui l’azione del medico consista nella somministrazione di farmaci o più semplicemente nella nutrizione e idratazione, le quali sono considerate dall’art. 1, comma 5, l. 219 del 2017, trattamenti sanitari, “in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici”.
Ebbene, nei confronti del soggetto in stato vegetativo permanente la beneficialità dell’atto medico viene a mancare, dato che le cure non contrastano alcuna malattia, essendo escluso un ritorno alla vita relazionale. Nel caso di stato vegetativo permanente il trattamento medico mira unicamente al mantenimento della vita biologica. Quest’ultimo – sia chiaro – è un bene certamente importante, come dimostra la pacifica conclusione che contro le condotte commissive esso è tutelato dal diritto penale al pari della vita biografica. Ciò non esclude, però, che la vita biologica possa ricevere una tutela meno intensa nel senso di dispensare dalle attività terapeutiche in senso stretto.
Qui torna in gioco la discutibile definizione, ad opera dell’art. 1, comma 5, l. 219 del 2017, della nutrizione e idratazione come trattamenti medici, sul fragile argomento della loro prescrizione medica e della loro somministrazione attraverso dispositivi medici: non è certo la confezione che fa il prodotto. La scelta legislativa è comunque chiara; essa mira a consentire l’interruzione o il mancato avvio della nutrizione e idratazione, a meno che non si tratti di nutrienti privi di componenti farmaceutici somministrabili con attrezzature di uso comune, non riconducibili al concetto di dispositivo medico.
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