Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
2. La disattivazione del sostegno artificiale in vita
2.1. Iniziando dalla prima questione problematica, ci si deve chiedere se la disattivazione della ventilazione forzata, che avviene su richiesta (o comunque con il consenso) del paziente, può considerarsi un atto intrinsecamente lecito, in quanto atipico, per il medico che lo realizza.
Ebbene, se dal punto di vista assiologico può convenirsi che non vi è alcuna differenza tra il distacco della macchina e il comportamento del medico che interrompe il massaggio cardiaco o la somministrazione dei farmaci salvavita, è anche vero che, da un punto di vista giuridico, la distinzione tra fare e omettere non è priva di rilevanza agli effetti applicativi. A seguito della richiesta del paziente, sul medico che interrompe il massaggio cardiaco o la cura è già cessato l’obbligo di agire, sicché la sua condotta omissiva rimane penalmente lecita; diversamente il distacco della macchina è una condotta commissiva che aziona una concausa mortale, passibile di integrare la fattispecie di omicidio del consenziente.
2.2. Per ovviare a un siffatto epilogo, un’autorevole voce della dottrina tedesca ha ricondotto la c.d. disattivazione della ventilazione forzata all’inusuale schema dell’omissione mediante azione (Unterlassung durch Tun)@, traendo da ciò la conclusione dell’irrilevanza penale della condotta. Sennonché, sul piano delle categorie penalistiche, questa impostazione, animata da un intento pratico certamente apprezzabile, rischia di risultare un gioco di parole, e non è un caso che essa non sia andata esente da critiche.
Posto che nel diritto penale la natura commissiva della condotta costituisce la regola, mentre quella omissiva l’eccezione giustificabile in ragione dell’espressa previsione dell’obbligo di attivarsi, non è chiaro su quale base l’ordinamento consentirebbe di far prevalere sulla dimensione naturalistica della condotta, indiscutibilmente attiva, il suo significato omissivo.
Nella sua rigidità, questa impostazione non tiene conto, inoltre, del requisito della contestualità, comunemente ritenuto necessario per cementare nell’unicità della condotta i vari momenti che la compongono. E precisamente: altro è il distacco della macchina che avviene in un momento cronologicamente ravvicinato a quello della sua connessione al corpo del paziente, talché la condotta della disattivazione assume lo stesso significato della mancata connessione; altro è l’interruzione del sostegno artificiale in vita che si verifica a seguito di un prolungato funzionamento della macchina, allorché essa venga a minare un fattore vitale che per così dire stabilizzato.
2.3. Ebbene, la mancanza di contestualità tra la connessione della macchina e la sua disattivazione non consente di negare che quest’ultima condotta sia autonoma rispetto alla prima, e che il tempo trascorso con l’ausilio della macchina sia una vita che viene interrotta. In quest’ultimo caso, dunque, il significato complessivo della condotta di disattivazione non può considerarsi alla stregua dell’omessa esecuzione della terapia.
Ne consegue che in assenza del consenso o di DAT espresse, la disattivazione della ventilazione forzata costituisce una condotta di omicidio. Diversamente deve dirsi nel caso in cui essa avvenga in presenza del consenso del paziente. Ebbene, la soluzione liberatoria non può rinvenirsi sul piano della tipicità, ma va ricercata su quello delle cause di giustificazione, per quanto la distinzione sia molto sottile. L’azione del medico che disconnette la macchina di sostentamento in vita è scriminata dagli artt. 32, comma 2, Cost. e 1, comma 5, l. 219 del 2017, ossia dal principio dell’incoercibilità delle cure, che opera come limite di rilevanza penale ai sensi dell’art. 51 c.p.
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