Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
Capitolo XVIII | La biogiuridica di fine-vita
di Fausto Giunta
1. Situazioni problematiche
1.1. Come si è avuto modo di anticipare, l’art. 32, comma 2, Cost., nell’affermare l’incoercibilità delle cure, costituzionalizza altresì il diritto del malato terminale di lasciarsi morire@; principio recepito oggi a livello della normativa ordinaria dall’art. 1, comma 5, della citata l. 219 del 2017.
La configurazione del rifiuto delle cure salvifiche come diritto, e non come semplice libertà, ha precise conseguenze, consentendo di considerare giuridicamente e deontologicamente illeciti i comportamenti del medico intesi a ostacolarne la realizzazione, anche se non è sempre possibile inquadrare tali condotte nell’ambito delle fattispecie di reato oggi esistenti.
Offrendo un esplicito riconoscimento a soluzioni che si erano già progressivamente affermate in via interpretativa, l’art. 4, comma 1, l. 219 del 2017 dispone che “Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT [i.e. disposizioni anticipate di trattamento], esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata ‘fiduciario’, che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie”.
1.2. La portata di questo principio generale deve essere meglio chiarita quando il rifiuto ha ad oggetto terapie salva-vita. Infatti, rimane fermo il divieto, per il medico, come per qualunque altra persona, di provocare la morte del paziente, ancorché su sua richiesta, stante la perdurante rilevanza penale dell’omicidio del consenziente.
D’altro canto è pur vero che, con lo sviluppo delle tecniche di leniterapia, i casi in cui il malato terminale (essenzialmente oncologico) può avere ragioni per chiedere l’interruzione delle terapie, come estrema di fuga dal dolore, si sono notevolmente ridotti.
Ne consegue che le ipotesi di interruzione delle cure che più fanno discutere sono due: la prima è quella del malato che viene mantenuto in vita dall’azione di una macchina; la seconda è lo stato vegetativo permanente, quale condizione di incoscienza irreversibile che può associarsi o meno al sostegno artificiale in vita.
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