Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta
3. L’atto medico arbitrario coronato da successo
3.1. La nuova normativa, però, non disciplina il trattamento sanzionatorio dell’atto compiuto in assenza del consenso informato, in quanto non richiesto oppure disatteso. Ancora una volta, per la corretta impostazione del problema, occorre fare riferimento alle categorie generali.
Va chiarito, anzitutto, che il consenso informato del paziente non ha funzione cautelare perché nulla dice sul modo in cui l’atto medico deve eseguirsi per essere perito. Esso incide, comunque, sulla necessaria condivisione del rischio. D’altro canto, l’atto medico arbitrario non è per ciò stesso privo di beneficialità. La sua abusività consiste, infatti, nel negare al paziente il diritto di ricevere o rifiutare la cura. Si tratta di un’aggressione alla libertà morale che, a differenza di quanto avviene all’estero, da noi non ricade nell’ambito applicativo di alcuna fattispecie incriminatrice ad hoc. Per questa ragione, bisogna verificare se possano trovare applicazione altre figure di reato, per così dire comuni, nel pieno rispetto del principio di legalità.
Ebbene, l’atto medico arbitrario coronato da successo non potrà considerarsi lesione personale già sul piano della tipicità oggettiva@. La lesione personale è incentrata sulla causazione della malattia, là dove l’esito fausto esclude questo epilogo, e costituisce anzi il suo esatto contrario.
3.2. Potrà ricorrere, semmai, il delitto di violenza privata (art. 610 c.p.) nel caso, alquanto improbabile, dell’intervento medico che sia eseguito in modo coercitivo e non ricorrano i presupposti del trattamento sanitario obbligatorio. Più precisamente, costituirà violenza privata l’atto medico eseguito non solo senza il consenso, ma contro l’espressa volontà del paziente, la cui resistenza venga piegata con l’uso di violenza o minaccia.
Questa conclusione è tuttavia controversa.
Un orientamento di pensiero ammette, infatti, il reato in questione anche al di fuori dell’ipotesi anzidetta. Nell’atto medico arbitrario – si osserva – la violenza è insita nella violazione della contraria volontà. Ragion per cui qualunque intervento terapeutico abusivo ricadrebbe sotto i rigori dell’art. 610 c.p., ivi compreso l’atto medico effettuato all’insaputa del paziente, allorché quest’ultimo venga previamente sottoposto, senza il suo consenso, a un’anestesia generale con conseguente perdita di coscienza.
Sennonché, sulla correttezza di questa impostazione possono avanzarsi valide riserve. È insegnamento indiscusso, infatti, che la struttura dell’art. 610 c.p. ruoti sulla coazione del soggetto passivo, il quale agisce, omette o tollera qualche cosa, per l’appunto in quanto costretto. Detto altrimenti: la struttura del delitto di violenza privata presuppone che la condotta di coazione venga avvertita dalla vittima come attività antagonistica. Se manca questo requisito, viene a cadere la coazione caratteristica del reato.
Ebbene, la giurisprudenza che fa rientrare l’atto medico abusivo nell’ambito dell’art. 610 c.p., mentre trascura la struttura della fattispecie, si concentra esclusivamente sul significato, decisamente più lato, che l’espressione “violenza privata” (usata nella rubrica dell’art. 610 c.p.) assume nel linguaggio comune, nel cui contesto essa è sinonimo di prevaricazione. Da qui la commistione tra la nozione di prevaricazione, che si presta a comprendere l’effetto di qualunque azione non rispettosa della volontà di chi la subisce, e il concetto di violenza come modalità della condotta di tipizzata nell’art. 610 c.p., ossia quale specifica tipologia di coazione dell’altrui volontà.
In breve: l’atto medico arbitrario che rientra nel delitto di violenza privata è solamente quello che si esplica attraverso una coazione del paziente, non anche quello “clandestino”, ossia semplicemente non rispettoso della volontà del paziente.
3.3. Ricorrendone i requisiti, può trovare applicazione (anche nei casi di atto medico con esito fausto) il meno grave delitto previsto all’art. 613 c.p., che punisce chiunque pone una persona, senza il consenso di lei, in uno stato di incapacità di intendere o di volere (si pensi al medico che, al fine di compiere indisturbato un atto terapeutico arbitrario, pratichi al paziente un’anestesia a sua insaputa).
La fattispecie in questione non può applicarsi, invece, per difetto di tipicità, quando l’arbitrarietà dell’atto medico non riguarda l’anestesia, che viene autorizzata dal paziente, bensì il tipo di intervento effettuato, il quale è diverso da quello cui si è acconsentito. In tal caso, infatti, il paziente è posto in stato di incapacità con il suo consenso.
Semmai, ci si può interrogare se il reato sussista quantomeno nell’ipotesi in cui il medico, agendo con riserva mentale, abbia deliberatamente rappresentato al paziente un intervento diverso da quello che intendeva effettuare, allo scopo di carpirne il consenso. La sussistenza del reato sembra discendere qui dal requisito della necessaria validità del consenso, il quale, per sussistere, presuppone una corretta formazione della volontà dell’avente diritto e la rappresentazione, da parte del medico, di un quadro informativo corretto e veritiero.
119 di 207