testi ed ipertesti

Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta

7. La problematica operatività del consenso scriminante

di Fausto Giunta

 

 7.1. L’incipit dell’art. 582 c.p. – “Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale” – chiarisce l’irrilevanza penale della lesione manu propria.  Questa opzione politico-criminale è confermata dall’art. 642, comma 2, c.p. che sottopone a pena la condotta di chi, al fine di conseguire l’indennizzo di un’assicurazione, cagiona a se stesso una lesione personale o aggrava le conseguenze di una lesione personale prodotta da un infortunio. Si tratta di un delitto pacificamente ritenuto, per collocazione sistematica nel Titolo XIII e per ratio legis, offensivo del patrimonio. A differenza del suicidio, che può essere una scelta, per quanto condizionata dalle circostanze, assai di rado l’autolesionismo ha un significato sociale, come avviene per esempio nel caso dello yubitsume, rituale giapponese del taglio della falange con il quale chi lo pratica espia la sua colpa. Perlopiù i gesti autolesionistici sono gesti patologici, in quanto tali impedibili dal terzo.   

 7.2. Altra e più delicata questione è quella dell’operatività del consenso dell’avente diritto. Per l’opinione dominante l’integrità personale è un bene indisponibile, con la conseguenza che le aggressioni manu alius non possono giustificarsi ai sensi dell’art. 50 c.p. Si invoca, a conferma dell’assunto, anche l’art. 5 c.c., che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino un’alterazione anatomica permanente@.

 Sul punto si deve convenire, ma con alcune precisazioni intese a evitare che il principio anzidetto assuma una rigidità eccessiva. L’art. 5 c.c., infatti, a fronte della sua formulazione in termini di divieto, è una norma connotata da una logica permissiva, poiché intendeva consentire la compravendita del sangue per trasfusioni e il contratto di baliatico@. Gli usi sociali, inoltre, smentiscono la lettura dell’art. 5 c.c. come incarnazione del divieto assoluto di atti di disposizione del proprio corpo. Si pensi alla perforazione dei lobi per l’uso degli orecchini o al piercing. Per non dire dei tatuaggi e della circoncisione per motivi religiosi. Si tratta di comportamenti frequenti praticati perlopiù su minori ossia in mancanza di un consenso di chi li subisce.

 In effetti, adottando la nozione funzionale di malattia (§ 2.2.), tali condotte non integrano nemmeno la fattispecie delle lesioni personali, là dove, per operare, il consenso presuppone l’esistenza di un fatto tipico.

 7.3. La questione si pone dunque per interventi autenticamente lesivi della funzionalità dell’organismo. In alcuni casi è la legge a rendere lecita, in presenza di un valido e motivato consenso, la lesione personale, come nel caso della rettificazione anagrafica e chirurgica di sesso (l. n. 164 del 1982) o la donazione del rene per trapianto inter vivos (l. 26 giugno 1967, n. 458). In altri casi si può giungere alla stessa soluzione in via interpretativa, quando il consenso non si pone in contrasto con i valori di fondo dell’ordinamento. È il caso della vasectomia quale tecnica anticoncezionale irreversibile, posto che la procreazione è un diritto della persona, non un dovere sociale. Diversamente deve dirsi per le mutilazioni genitali femminili, che sottendono una concezione della donna incompatibile con il valore della persona.

 

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