testi ed ipertesti

Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta

Capitolo XVI | Percosse e lesioni personali

 

1. Le percosse

di Fausto Giunta

 

 1.1. Un secondo gruppo di reati previsti nel capo primo del titolo XII ha in comune l’offesa all’incolumità personale. Si tratta di una categoria eterogenea, il cui ceppo principale è costituito dalle lesioni personali.

 Prima di entrare in argomento, va fatto cenno al delitto di percosse (art. 581 c.p.), che consiste nel colpire il soggetto passivo in qualunque modo e con qualunque mezzo. Pugni, calci, bastonate, strattonamenti, e via discorrendo, costituiscono percosse se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente. Tale non è l’ecchimosi, conseguenza frequente delle percosse, a meno che, per via della sua estensione, essa non comporti una menomazione funzionale dell’organismo. Su questa conclusione converge la dottrina, mentre è di contrario avviso la giurisprudenza per la quale il livido è una lesione personale.  

 Il reato previsto dall’art. 581 c.p. è, dunque, di mera condotta. L’offesa consiste nella sensazione di dolore, per il cui accertamento occorre considerare, in base alle massime di esperienza, le caratteristiche fisiche sia dell’aggressore che del soggetto passivo. Un lieve schiaffo non costituirà una percossa, ma potrà rilevare come ingiuria c.d. reale se, in base al contesto, il gesto assume un significato dispregiativo, come tale lesivo dell’onore.

 1.2. Ciò non significa, però, che ogni contatto fisico doloroso costituisca percossa. Non è tale, per esempio, un’iniezione, non perché sia scriminata, o perché difetti il dolo di arrecare una sofferenza, ma per una ragione oggettiva e più radicale che incide sulla tipicità: la condotta terapeutica si ispira a beneficialità. Il suo significato sociale è pertanto opposto a quello della percossa.   

 Perché possa parlarsi di percossa, la sensazione di dolore deve derivare dal contatto fisico (diretto o mediato da qualsiasi oggetto contundente) tra l’agente e il soggetto passivo, non dalle sue conseguenze, quand’anche volute. Per fare un esempio, colui che sfila la sedia a chi vi si sta sedendo, provocandone una dolorosa caduta, non realizza una percossa per mancanza del necessario contatto fisico. Il fatto potrà costituire un’ingiuria, se l’intento è derisorio, o una lesione personale, se cagiona l’evento tipico di quest’ultima fattispecie (la quale, come si tornerà a dire è causalmente orientata, ossia integrabile da qualsiasi condotta).

 Si può convenire, pertanto, con la giurisprudenza che definisce percossa ogni manomissione violenta dell’altrui persona@. Si badi: il contatto con il corpo del soggetto passivo deve essere violento, non bastando che la sensazione di dolore segua unicamente all’impatto con cose o persone. Si pensi alla spallata che fa ruzzolare per le scale il soggetto passivo. Costituirà percossa solo se essa stessa si connoti per una violenza d’urto. Lo stesso deve dirsi per lo sgambetto: se la condotta difetta di violenza non potrà parlarsi di percossa senza tradire il significato che il termine possiede nel linguaggio comune.

 Questa conclusione – trattandosi di fatti equivalenti sotto il profilo dell’offesa – contrasta con il senso di giustizia, che aborre la lacuna di tutela e il trattamento diseguale di casi simili. È anche vero che il ragionamento analogico in malam partem è vietato nella materia penale per ragioni di garanzia, ritenute prevalenti finanche sul senso di giustizia. Il cedimento all’analogia sfavorevole non è mai isolabile, perché finisce per propagarsi nel sistema inoculando la convinzione che il giudice possa, all’occorrenza, superare, in senso liberticida, la funzione regolatrice del linguaggio.

 1.3. La percossa tipica può essere giustificata: si pensi alle pratiche masochistiche, a certe competizioni sportive o pseudo tali, come la c.d. gara di schiaffi@, agli interventi coercitivi delle forze dell’ordine.

 Si può percuotere anche per legittima difesa o in stato di necessità.

 1.4. Il delitto di percosse è procedibile a querela.

 Si tratta di un reato di competenza del giudice di pace, punito con la pena pecuniaria da  258 a 2.582 euro. Trovano applicazione gli istituti della giurisdizione di pace, di cui si è detto (Cap. VI, § 4).

 

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