testi ed ipertesti

Sussidiario di diritto penale
Parte speciale
a cura di F. Giunta

4. Le ipotesi speciali di omicidio doloso: infanticidio e omicidio del consenziente

 

 4.1. Il codice penale conosce due ipotesi speciali di omicidio doloso, soggette entrambe a un trattamento sanzionatorio meno severo e collegate l’una alle caratteristiche del soggetto passivo e ai moventi del reo, l’altra alla presenza del consenso.

 Il riferimento è rispettivamente all’infanticidio in condizioni di abbandono morale e materiale (art. 578 c.p.) e all’omicidio del consenziente (art. 579 c.p.).

 Iniziando dalla prima fattispecie@, si tratta di un reato proprio della madre, che agisce in condizioni di abbandono morale e materiale connesse al parto. Com’è noto, il brocardo mater semper certa est ha perso la sua validità nei casi di maternità surrogata. Ciò impone di precisare che, stante il riferimento della norma al parto, il soggetto attivo del reato può essere solo la partoriente.

 Le condizioni di abbandono devono essere sia morali, che materiali. L’espressione codicistica allude a situazioni estreme connotate da una solitudine produttiva di profondo turbamento e un’alterazione della coscienza, ancorché non patologica. Non basta l’indifferenza delle persone care, specie in considerazione dell’aiuto che normalmente offrono i presidi sanitari.   

 Soggetto passivo è il feto durante il parto (c.d. feticidio), momento nel quale il nascituro non ha ancora vita autonoma, o il neonato immediatamente dopo il parto.

 L’avverbio “immediatamente” introduce un requisito temporale, che va interpretato teleologicamente. Guardando alla ratio della fattispecie incriminatrice, il parto non è solo un fenomeno fisiologico, ma il momento di accettazione della maternità, superato il quale l’eventuale uccisione del nato non può più dirsi avvenuta nell’immediatezza del parto.  

 Deve segnalarsi la particolare disciplina prevista per i concorrenti nel reato, che deroga in parte ai criteri generali previsti dall’art. 110 e seg. c.p. Chi concorre risponderà di omicidio comune, ma la pena potrà essere diminuita se ha agito al solo scopo di aiutare la madre.

 Il trattamento sanzionatorio più benevolo non risulta solamente dalla cornice edittale, ma anche dalla precisazione che non trovano applicazione le circostanze aggravanti previste dall’art. 61 c.p. 

 4.2. Passando all’omicidio del consenziente@, si tratta di una fattispecie che conferma l’indisponibilità del bene della vita.

 Il requisito specializzante del consenso sussiste quando vi è l’accettazione dell’offesa da parte del soggetto passivo. Non è necessaria né una richiesta in senso stretto, né una forma espressiva particolare. La sua manifestazione deve essere specifica e univoca, e deve provenire da persona capace di autodeterminarsi e libera da condizionamenti. Difettando tali condizioni, l’art. 579, comma 3, c.p. dispone che si applichino le disposizioni sull’omicidio doloso comune. Il consenso deve intervenire prima che venga realizzata la condotta e persistere durante la sua esecuzione. A questo proposito si parla di attualità del consenso. Quanto all’oggetto, il consenso deve abbracciare le condizioni di tempo e di luogo, e può essere sottoposto a condizione, avuto riguardo per esempio al mezzo. L’esecuzione in difformità del consenso lo rende invalido nella misura in cui essa tradisca in modo significativo la volontà del soggetto passivo. Per converso non assumono rilievo le condizioni marginali, come per esempio il tipo di pistola da utilizzare per la causazione della morte.

 Il consenso è sempre revocabile prima che intervenga la condotta. Dopo questo momento, l’eventuale ripensamento del soggetto passivo non fa mutare il titolo di reato. Se si verifica l’evento, il reo risponderà pur sempre di omicidio del consenziente@, a meno che su di lui non gravi un’apposita e distinta posizione di garanzia (si pensi, per esempio, al medico ospedaliero che somministri del veleno a effetto differito al paziente ricoverato nel suo reparto, il quale, dapprima consenziente, dopo la condotta, chiedesse di essere salvato). In tal caso l’omesso impedimento dell’evento farebbe scattare una responsabilità per omicidio doloso ai sensi degli artt. 40, comma 2, e 575 c.p. Ad ogni modo, e indipendentemente dalla mutata volontà del soggetto passivo, l’impedimento dell’evento è interesse dell’agente: il fatto degraderebbe a tentativo, attenuato dal recesso attivo (art. 56, comma 4, c.p.).

 Se invece la mutata volontà del soggetto passivo interviene prima della commissione della condotta, la persistenza del reo nella realizzazione del suo piano omicida rileverà come omicidio doloso o di tentativo di omicidio doloso (a seconda che si verifichi o meno la morte del soggetto passivo). In questo caso la volontà omicida è sostanzialmente unica, come unica è la condotta quale realizzazione materiale del volere. Il reato più grave, ossia l’omicidio (del dissenziente) diventa uno sviluppo di quello meno grave (tentativo di omicidio del consenziente). Quest’ultimo perde autonomia e resta assorbito nel primo.

 Ci si deve chiedere, infine, quale sia la disciplina applicabile, ove l’agente, nel tentativo di impedire la morte del non più consenziente, la cagioni per colpa (si pensi a colui che dopo avere avvelenato il soggetto attivo ne cagiona la morte con un incidente stradale mentre lo trasporta all’ospedale). Qui le condotte sono diverse: rispetto alla prima, la seconda è antagonistica. Anche i fatti sono distinti: l’uno è doloso, l’altro è colposo. Non si può trascurare questa diversità e imputarli unitariamente come omicidio del consenziente, degradando così l’uccisione colposa a postfatto irrilevante. La loro considerazione autonoma porta a qualificare distintamente i fatti in concorso tra loro come omicidio del consenziente tentato e omicidio colposo con violazione delle regole sulla circolazione stradale.

 Nel caso di erronea supposizione del consenso, verrà a realizzarsi la fattispecie oggettiva dell’omicidio i cui requisiti sono tutti abbracciati dal dolo. Da qui la conclusione, fatta propria da una parte della dottrina, che troverebbe applicazione l’omicidio comune. Si tratta, tuttavia, di una soluzione rigorista che trascura il diverso e minore disvalore del dolo. Preferibile, perché più equa, appare la soluzione dell’applicazione analogica in bonam partem dell’art. 59, comma 4, c.p. che, seppure dettato per le cause di giustificazione, in ragione dell’eadem ratio può estendersi al consenso quale requisito costitutivo del reato in esame, con la conseguenza di rendere applicabile anche in questo caso l’art. 589 c.p.   

 

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